Tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo. (Blaise Pascal)
mercoledì 29 aprile 2020
STEP #12 - nel pensiero medievale e moderno
Indicare in un post come il concetto legato al termine assegnato faccia la sua presenza nel pensiero medievale e del mondo moderno (sino al secolo XVII. Si ricorda che non è necessario che il termine compaia in maniera esplicita, ma che la sua "essenza" sia chiaramente intuibile dal brano citato da un classico della filosofia.
venerdì 24 aprile 2020
Pareto e i suoi modelli
"La legge di Pareto diede luogo alla celebre regola empirica dello 80-20 spesso così descritta: il 20% delle persone detiene lo 80% della ricchezza ovvero il 20% dei paesi detiene lo 80% della ricchezza mondiale. Questa regola, nelle organizzazioni aziendali, generò il così detto sistema A,B,C. che ha utilità molteplici: dalle cause di guasto (controllo qualità) al valore del magazzino (controllo scorte) alla classificazione dei rischi (pianificazione dei progetti). In Pratica vi sono i fenomeni di tipo A (pochi, ma vitali), i fenomeni di tipo B (molti ma utili) e i fenomeni di tipo C che, in prima battuta, possono anche essere trascurati."
giovedì 23 aprile 2020
STEP #11 - nella pandemia
Illustrare, con un breve commento personale, la declinazione del termine sotto indagine all'interno dell'evento pandemia COVID-19. Tale post potrà riportare riferimenti diretti ad altri siti che servano a meglio spiegare il contesto analizzato, arricchendolo anche di immagini.
mercoledì 22 aprile 2020
Ingegnerie della divinazione (11)
Di fronte a un futuro ignoto
Alcune
considerazioni trasversali, intorno ai nostri protagonisti possono collaborare
a un più corretto inquadramento dei temi che in questa sede si sono aperti,
anche se spesso solo fugacemente. Scriveva Norberto Bobbio a proposito di
Pareto che:
nel Trattato
compare e campeggia la terza dicotomia fondamentale del pensiero paretiano,
quello fra residui e derivazioni. Anzi il Trattato
può essere considerato come un luogo, non sempre rettilineo, complesso (nonché
complicato) discorso intorno a presupposti teorici, alle fonti materiali, alla
costruzione concettuale, alla possibile utilizzazione per una teoria del
sistema sociale, di questa grande dicotomia. Dopo un capitolo preliminare sul
metodo scientifico, l’opera prende le mosse dalla prima dicotomia, cioè dalla
distinzione fra azioni logiche e non logiche (cui sono dedicati il secondo e il
terzo capitolo). Poiché il miglior modo per giungere alla enucleazione e
descrizione delle azioni non logiche è quello di partire dalle loro
manifestazioni verbali, che sono teorie non logico sperimentali (cui si
riferisce la seconda dicotomia), l’opera procede con una analisi di un
abbondante materiale di teorie di tal sorta, che vengono distinti in teorie che
trascendono dall’esperienza (capitolo quarto) e in teorie pseudoscientifiche
(capitolo quinto), secondo ché l’intervento di principi non sperimentali sia
esplicito o soltanto implicito, e quindi, più o meno dissimulato. La
conclusione di quest’analisi è che le teorie non logico-sperimentali sono
composte da due parti: una parte più variabile, che consiste in un complesso di
argomentazioni quasi logiche con cui gli uomini tendono a dare una
giustificazione razionale, a razionalizzare post factum, i propri istinti o
sentimenti; una parte più costante, attraverso cui vengono espressi questi
istinti o sentimenti. Alla prima Pareto dà il nome di derivazioni; alla seconda
di residui, in quanto sono ciò che residua di ogni teoria dopo averla sfrondata
degli argomenti di giustificazione, o, per seguire una delle metafore preferite
di Pareto, dopo averle scrostate di vernice logica.[1]
Per contro, con un salto indietro nel tempo, e
inseguendo i rapporti che intercorsero tra i nostri, scriveva Vilfredo Pareto a
Filippo Burzio
Céligny, lì 22-1-22
Preg. sig. ing. La ringrazio per avermi mandato il suo
articolo della Ronda – che già avevo letto – e il suo articolo della Stampa che
ancora non conoscevo. Giusta e fondamentale è la sua osservazione per la
differenza tra il riconoscere l’esistente e il proporre il fare. Per unirli
occorre che la scienza sia giunta ad uno stato di perfezione che siamo lungi di
avere. Eppure il fare, anche se è errato può essere utile. Supponga che siamo
sperduti in un bosco. Uno di noi studi e ponza per conoscere la topografia, ed
è ancora lontano dallo scopo. Altri vanno qua e là, cercando l’uscita. Chi si
dice ispirato da Zeus, chi da Cristo, chi crea la realtà, chi è mosso dalla
fede democratica, ecc. Tutte assurdità sperimentali, ma che importa? Se alcuno
di loro si avvicina all’uscita, ancora ignorata dalla topografia? Ciò che è
utile può non essere vero; ciò che è vero può non essere utile. Tale è uno dei
principi che paiomi fondamentali nello studio delle scienze sociali. Per parte
mia mi limito al conoscere, lasciando ad altri più valenti, e spesso anche più
utili, il fare. Mi creda. Dev. Vilfredo Pareto.[2]
Se c’è qualche
speranza di prevedere il futuro – ne sarebbero felici gli speculatori e gli
operatori della borsa – forse una speranza ci arriva dalla fantascienza, che, a
differenza degli scienziati duri e puri, ha saputo meglio guardare al di là del
presente. Il futuro invero da sempre è stato oggetto di proiezioni più o meno
fantastiche e la letteratura prima, il cinema e la televisione dopo, ne sono
stati i veicoli di maggiore impatto sociale. Dimenticando la fantascienza di
Antoine Robida e di Jules Verne e arrivando a tempi più vicini a noi, forse la
sitcom animata The Jetsons (I pronipoti) della Hanna-Barbera,
esordita negli Stati Uniti nel 1962 ambientata in una futura era spaziale è
nota ai più e ha aperto la strada a un filone popolare, che quarant’anni dopo
ha visto nascere Futurama la sitcom
animata statunitense, creata da Matt Groening nel 1999 fino al 2003 per la Fox.
Tra i moltissimi soltanto un libro di fantascienza: Stanislaw Lem, l’autore di Solaris, scienziato e scrittore polacco,
nel 1971 pubblicò un romanzo intitolato Il
congresso di futurologia[3],
ambientato nel 2039. Il pilota Ijon Tichy partecipa all'Ottavo Congresso di
Futurologia che si svolge in Costa Rica. La popolazione vive in preda alle
droghe, non esistono più turisti, né mercanti, né artigiani. Esistono solo
congressi. La gente non produce, non consuma: parla e basta. Qui, sembra, che
stia nascendo una nuova scienza.
È stato ibernato? Anch'io. E poi disibernato? Io pure. Sono
anche stato ringiovanito, con il rijuvenal e la deseilisina; per lei questo non
è stato necessario ma io, se non fosse per una solida curatazione alla quale
sono stato sottoposto, non sarei più un futurosofista". "Vuol dire
futurologo?" "Questo termine ora significa qualcosa di diverso, il
futurologo fa i profuti (previsioni), io invece mi occupo della teoria. È una
cosa completamente nuova, sconosciuta ai miei e ai suoi tempi. La si può
definire previsione perlinguistica del futuro. È la scienza della
pronosticazione linguistica". "Non ne ho mai sentito parlare. Che
cos'è?" […] "La futurologia perlinguistica indaga il futuro dal punto
di vista delle possibilità di evoluzione della lingua" spiegò Trottelreiner.
"Non capisco". "L'uomo è in grado di appropriarsi soltanto di
ciò che può comprendere, e può comprendere unicamente ciò che è esprimibile a
parole. L'inesprimibile è incomprensibile. Studiando le tappe successive
dell'evoluzione della lingua, giungiamo a stabilire quali scoperte,
trasformazioni e rivoluzioni del costume la lingua potrà, in un qualsiasi
momento, rispecchiare". "Molto strano. E come funziona, in
pratica?" "Conduciamo le ricerche coadiuvati dai migliori computer, perché
l'uomo da solo non è in grado di verificare tutte le varianti. Si tratta
principalmente della variabilità sintagmatico-paradigmatica della lingua, ma
quantizzata". (Stanislaw Lem, Il
congresso di futurologia, pp. 116-117)
Douglas Noel Adams
(1952-2001), il famoso autore della Guida
Galattica per Autostoppisti, nel suo ultimo scritto, uscito postumo e
intitolato Il Salmone del Dubbio,
compare un breve saggio intitolato Predicting
the Future. Così si può leggere in un articolo che perde ogni valenza
fantastica e assume toni assolutamente realistici.
Cercare di prevedere il futuro è fatica sprecata. Ma è una
fatica cui tutti dobbiamo sottoporci, in quanto oggi il mondo cambia così in
fretta che il futuro può essere già la settimana prossima e conviene avere
un’idea di come sarà. Curiosamente, l’industria informatica, che rappresenta il
motore primario del vertiginoso ritmo di cambiamento, si è rivelata quasi
incapace di prevedere il futuro. […] Prevedere il futuro è una fatica sprecata,
ma qualsiasi fatica riesce meno pesante se si ottiene qualche piccolo successo.
“The Independent on Sunday” november 1999.
L’utopia è da
sempre legata doppiamente al futuro e da esso ne dipende l’essenza, perché se
l’utopia diventasse una profezia , a posteriori perderebbe ogni valore. Ma ciò
nonostante il “futuro” continua ad affascinare scrittori e filosofi, tecnici e
sociologi. Marc Augé nel suo libro Future, scrive:
First of all, I would
recall that the question of knowledge is essential to the definition of our
future, meaning the future of the planet and of humanity.
It is essential for
various sets of reasons. We could start by thinking that knowledge of the
effects that the development of human societies are having on the planet they
inhabit is crucial for their future. But what I would like to examine here is
another aspect of things, even though of course it is linked to that one. In
this area, everything is connected.
Let us start from two
observations. The first is that science is developing at increasing speed and
our imagination is powerless to keep up. We are unable today to give an
accurate prediction of the state of science fifty or even thirty years hence.
By the state of science, I mean both our level of knowledge and its practical
side effects on human life. We are faced with an immense zone of uncertainty,
about which specialists can produce any number of hypotheses and projections
without being able to state anything for sure, apart from the certainty that
they will one day be surprised by what turns up.
The accelerating advance
of science since the beginning of the twentieth century leaves us today facing
revolutionary prospects. New worlds are being opened up: on one hand the
universe and its myriad galaxies (and the vertiginous change of scale that goes
with them, which will eventually alter the idea we have of the planet and of
humanity); on the other, the frontier between matter and life, the inner
secrets of living beings, the nature of consciousness (new ideas which will
lead to a redefinition of the idea individuals have of themselves).
Today we need more than
ever to speak of the future in the plural, and the ethnologist who has always
distrusted the definite article, especially in the singular (the savage, the primitive
society), will be the first to rejoice. Neither multicultural society nor
social media (heirs of the late global village), nor the consumer or service
society are the last word of history, for that final word does not exist. So
the ethnologist can be consoled for not being a prophet.
Molte sono le
spinte in avanti verso un mondo senza futuro, o meglio, un mondo in cui vi sia
la possibilità di precedere il futuro, ma qui la fantascienza entra in
conflitto con una realtà che si illude di sostituirsi a Dio. L’utopia di
un’evoluzione verso l’Homo deus[4]
si ritrova nell’ultimo saggio di Yuval Noah Harari dove, nonostante le grandi
speranze, l’autore afferma:
Comunque, quando la tecnologia ci permetterà di
reingegnerizzare le menti umane, Homo sapiens scomparirà, la storia umana
arriverà a una conclusione e un tipo di processo completamente nuovo avrà
inizio, un processo che le persone come voi e me non possono comprendere. Molti
studiosi cercano di predire come potrà essere il mondo nell’anno 2100 o 2200. È
uno spreco di tempo. Qualsiasi predizione significativa dovrebbe tener conto
della capacità di reingegnerizzare le menti umane, e questo è impossibile.
Esistono molte sagge risposte alla domanda: “Che cosa farebbero persone con
menti come le nostre con le biotecnologie?” ma non abbiamo alcuna buona
risposta per la domanda: “Che cosa farebbero esseri con un tipo differente di
mente con le biotecnologie?” Tutto ciò che possiamo dire è che persone simili a
noi con ogni probabilità useranno le biotecnologie per reingegnerizzare le loro
stesse menti, e le nostre menti contemporanee non sono in grado di comprendere
quali potrebbero essere le conseguenze.
Le prospettive di
un futuro futuribile si ingarbugliano. Anche i giornali più quotati hanno una
giusta reticenza a trattare la predizione del futuro. In un articolo di Enrico
Marro apparso l’8 luglio 2017 su “Il Sole 24 Ore” faceva riferimento a un
algoritmo capace di salvare 3mila persone dal suicidio.
Ci sono cose che non dico noi umani, ma nemmeno la fantasia
di uno scrittore visionario come Philip Dick avrebbe mai potuto immaginare. Il
famoso racconto del 1956 The Minority Report, scritto da Dick nel 1956 e
diventato un film di Spielberg con Tom Cruise nel 2002, narrava di come nel
2054 fosse possibile cercare di prevedere il futuro grazie a tre “Precog”,
mutanti collegati a macchine in grado di “previsualizzare” cosa accadrà.
Tornate indietro dal 2054 a quest’anno, sostituite i tre “Precog” con l’analisi
dei big data e Minority Report è servito: setacciando con l’intelligenza
artificiale conversazioni social e colossali database è possibile predire il
futuro con una ragionevole probabilità di prenderci.
Jessica Ribeiro e
Joseph Franklin nello studio Predicting
Risk of Suicide Attempts Over Time Through Machine Learning, su “Clinical
Psychological Science” con un algoritmo di intelligenza artificiale ha
analizzato i profili di 5167 soggetti a rischio autolesionismo giungendo a
predizioni che dicono avere una affidabilità del 92 %. Ma questa sarà vera
predizione del futuro?
[1] N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Sansoni,
Firenze, 1973, pp. 19-20.
[2] Archivio della
Fondazione Filippo Burzio
[3] Stanislaw LEM, Kongres futurologiczny, 1971 (trad it. Il congresso di futurologia, Milano,
Marcos y Marcos, 2003)
[4] Yuval Noah Harari, Homo Deus. A Brief History of Tomorrow, London : Harvill Secker, 2016 (trad. it: Homo Deus, Firenze-Milano : Giunti Bompiani, 2017)
Ingegnerie della divinazione (10)
Onde e diagrammi: i poteri divinatori
della matematica
Come ha ben
puntualizzato Alexandre Koyré, la scienza moderna si fonda sull’esperimento e
sulla misura. Il passaggio “dal mondo del pressappoco all’universo della
precisione” si fonda proprio sulla potenza oggettiva dei numeri. Di tutto ciò
si è già visto come Vilfredo Pareto abbia organizzato il suo Manuale di economia politica, e anche se
altri sono stati gli sviluppi, la scienza economica, dal secolo XIX è stata
presto contaminata da una ossessione divinatoria, spesso mascherata da una
semplice analisi storica quantitativa. La storia quantitativa fa tutti gli
sforzi possibili per diventare una scienza esatta e in questo senso la figura
di Nicolaj Dimitrievich Kondrat’ef (4 marzo 1892 – 17 settembre 1938) assume un
ruolo di protagonista. Così scriverà dal carcere alla figlia Elena nel 1934:
“Tutta
la mia vita l’ho vissuta nel futuro. Tutta la mia vita ho cercato di passare
attraverso la fitta recinzione del giorno quotidiano in modo che senza
intenzione spostavo tutta la mia attenzione al futuro. Il presente mi sembrava
sempre non autentico. Autentico per me era solo il futuro quando la recinzione
sarebbe stata finalmente scavalcata e sarebbe stato possibile dedicarmi con
tutte le mie forze all’autentico coinvolgente lavoro scientifico e tutta la mia
attenzione d’animo solo a te…
Kondrat’ef nato da
una famiglia di umili origini divenne presto membro del Partito Socialista
Rivoluzionario, e dopo la rivoluzione del 1917 si dedicò all'attività di
ricerca. Nel 1919 divenne professore di economia nell'Accademia di Agricoltura
e nell'ottobre del 1920 fondò a Mosca l'Istituto di Congiuntura. Dopo aver
pubblicato nel 1922 The World Economy and
its Conjunctures During and After the War (Mirovoye khozyaystvo i yego
kon"yunktury vo vremya i posle voyny) nel 1924, anno in cui viaggiò in
occidente soggiornando negli Stati Uniti d’America e in Canada, divenne famoso
per il suo saggio On the Notion of
Economic Statics, Dynamics and Fluctuations, seguito l’anno seguente da The Major Economic Cycles, in cui
presentava le sue considerazioni sui cicli economici. Teorico della Nuova politica economica (NEP) fu il
principale sostenitore di uno sviluppo economico fondato sull’agricoltura a
dispetto dell’industria pesante. Quando nel 1927 la NEP fu accantonata anche
Kondrat’ef cadde in disgrazia e, rimosso dall’incarico, presto venne arrestato,
terminando così la sua prestigiosa carriera. I Cicli economici maggiori[1]
studiati e teorizzati da Kondrat’ef partono da un’analisi dell’andamento dei
salari nell’industria del cotone e nell’agricoltura in Inghilterra tra il 1790
e il 1910, che vengono presto rapportati con la produzione del carbone in Inghilterra
e del consumo del carbone in Francia. Da queste considerazioni ne segue la
teoria delle “onde di Kondrat’ef” ovvero di cicli lunghi della durata di 50-70
anni tipici del moderno mondo economico capitalistico. Essi sono costituiti da
una fase ascendente corrispondenti a una crescita economica specializzata a cui
fa seguito una fase di depressione dei mercati.
Nella sua opera
sui Cicli economici (1939), Joseph
Schumpeter tenterà di individuare nella storia economica le diverse fasi dei
cicli di Kitchin, Juglar e Kondrat’ev.
«Le storie delle “crisi” e le dettagliate descrizioni di
crisi individuali sono state descritte sin dagli inizi del diciannovesimo
secolo. Quella letteratura è più ricca di quanto appare a prima vista perché
include tutte le descrizioni degli aspetti particolari come quelli descritti da
vari punti di vista. Molti di questi intendono analizzare il meccanismo
monetario e la speculazione»
Come possiamo
leggere alla voce “Futuro” nella Enciclopedia
delle scienze sociali dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, Wendell
Bell afferma che “la futurologia moderna si può far risalire agli anni sessanta
(del Novecento)”. In realtà gli econometristi nel tracciare sin dall’inizio del
secolo i loro “cicli economici” non si sono mai arrogati il ruolo di futurologi,
anche se la loro aspirazione nascosta inevitabilmente era quella di poter
trovare uno strumento per poter governare il futuro. Ma allora mancavano gli
strumenti e tra essi in primis il computer. Registrare lunghe
serie di dati e tracciare grafici e curve sulla carta millimetrata non
permetteva di andare oltre alle estrapolazioni di regressioni lineari o di
ricerche di asintoti, e i risultati erano sempre stati confermati (se c’erano) ex post. Ora le cose stavano cambiando e
la pubblicazione del saggio di Fred Polak, Die
Toekomst Is Verleden Tijd (letteralmente Il futuro è il tempo passato), pubblicato a Utrecht nel 1955, e
tradotto in inglese nel 1961, costituì una pietra miliare segnando, con il
concetto della “immagine del futuro”, la strada a numerose ricerche sui confine
di storia, economia, antropologia e sociologia.
History now entered a new
dialectic phase which harmonized essence-optimism and influence-optimism in a
new way. Ironically enough, this new phase was involuntarily inaugurated by
Rathenau in the shape of a reaction to his ideas. It nevertheless continued a
line of development started before his time and continued in opposition to him,
represented by such people as Machiavelli, Fichte, Hegel, Joseph de Gobineau,
Nietzsche, Spengler, Ludwig Klages, Albert Sorel, Vilfredo Pareto, and Lenin.
The interest no longer focused on human progress, nor on the biological-cosmic
évolution of a superior type of man. The interest had narrowed to the sélection
and promotion of one racial type to a position of world domination.[2]
La nascita
ufficiale della futurologia “scientifica” si attesta invero con il saggio di
Bertrand De Jouvenel, L’art de la
conjecture. Futuribles, apparso a Monaco nel 1964.
L'uso di riunire degli esperti e di investigare il futuro è
entrato ormai nelle nostre abitudini, l problemi che si pongono sono i
seguenti: fra dieci, quindici, venticinque anni (o addirittura alla fine del
secolo) quale sarà la popolazione del nostro paese o della terra? Quale parte
avranno le varie classi di età, le diverse regioni, gli agglomerati urbani? ha
produzione aumenterà in proporzione? dovrà modificare composizione e impieghi?
Di quanto crescerà il consumo d'energia? e sotto quali forme? Quanto alle
materie prime, da dove si ricaveranno le risorse naturali? Quali saranno le
conseguenze in campo commerciale?[3]
E quando poco
oltre si arriva ai progenitori dell’econometria ecco che si legge, ripreso dal
Morgenstern[4], che “i sistemi di equazioni di Walras o
di Pareto non erano per niente destinati ad essere risolti: essi avevano una
funzione illustrativa e non pratica.”[5]
Sempre prendendo a prestito le considerazioni di Oskar Morgenstern così
Bertrand de Jouvenel scriveva:
Così, in una scienza del concreto, la teoria, nella sua forma
più raffinata, appariva per sempre incapace di applicazioni concrete. Ci si
stupisce che non vi siano stati né profonda insoddisfazione per una tale
situazione senza una via d'uscita, né (per lungo tempo) tentativi di aggregare
le variabili e le equazioni per passare a un modello meno raffinato che però
fosse utilizzabile. Gli autori sembravano paghi di aver fornito una descrizione
astratta del mondo economico e non curarsi delle applicazioni. Se formulavano
delle raccomandazioni, esse erano essenzialmente affermazioni di principi
fondamentali senza un necessario legame con il modello. In nessun caso queste
raccomandazioni risultavano da un'applicazione del modello a una situazione
concreta che, attraverso l'introduzione di dati particolari, conducesse a
valutazioni conseguenti. [6]
(ed.it. p. 238)
A conclusione del
suo libro il de Jouvenel ritornava a parlare esplicitamente di Vilfredo Pareto,
evolvendone le idde attraverso gli studi di Zipf e soprattutto di Benoit
Mandelbrot, il padre della teoria dei frattali.
Nel 1897, Pareto ha dimostrato che, in fatto di redditi, si
incontra una distribuzione particolare, da allora chiamata « paretiana » Molto
più recentemente, Zipf ha raccolto una serie straordinaria di distribuzioni
paretiane, attingendole dai campi più diversi: alcune tesi azzardate ed alcune
balordaggini di questo pensatore bizzarro hanno ritardato l'accettazione delle
sue teorie. Ma Benoìt Mandelbrot ha ripreso le sue ricerche con ben altro
rigore " e, in una memoria recente, fornisce notevoli chiarimenti sul modo
di formazione di una distribuzione paretiana''. I diversi modelli di
distribuzione studiati sono stati recentemente riesaminati uno per uno. A
questo riguardo è indiscutibilmente importante il ruolo che svolge la
simulazione, con la quale si possono formare delle distribuzioni servendosi di
ipotesi sui vari processi, ipotesi che basta affidare ad un calcolatore per
conoscere cosa ne discenderà, come è stato fatto in un esperimento riguardante
le dimensioni relative delle imprese. (ed. it. pp. 382-383)
Nel suo famoso saggio The Black Swan (New York : Random House,
2007) , anche Nassim Nicholas Taleb ricorderà più volte Pareto:
The
scientists J . C. Willis and G. U. Yule published a landmark paper in Nature in
1922 called "Some Statistics of Evolution and Geographical Distribution in
Plants and Animals, and Their Significance." Willis and Yule noted the
presence in biology of the so-called power laws, attractable versions of the
scalable randomness that I discussed in Chapter 3. These power laws (on which more technical information in the following
chapters) had been noticed earlier by Vilfredo Pareto, who found that they
applied to the distribution of income. (p. 219)
e ancora più oltre:
Have you ever heard of
the 80/20 rule? It is the common signature of a power law—actually it is how it
all started, when Vilfredo Pareto made the observation that 80 percent of the
land in Italy was owned by 20 percent of the people. Some use the rule to imply
that 80 percent of the work is done by 20 percent of the people. Or that 80
percent worth of effort contributes to only 20 percent of results, and vice
versa. (p.
235)
E paradossalmente
il determinismo di Pareto va a sfociare nella causalità frattale dove apparenti
distribuzioni stocastiche trovano le loro proprie “regolarità geometriche”.
Now, why am I calling
this business Mandelbrotian, or fractal, randomness? Every single bit and piece
of the puzzle has been previously mentioned by someone else, such as Pareto,
Yule, and Zipf, but it was Mandelbrot who a) connected the dots, b) linked
randomness to geometry (and a special brand at that), and c) took the subject
to its natural conclusion. (p. 256)
Nata in Italia, la
teoria della econometria, trovò intorno a un gruppo di studiosi un punto di
accumulazione di nuove idee sull’onda lunga del miracolo economico. Lo sviluppo
degli studi sul futuro in Italia e in Europa, oggetto di ampie ricerche da
parte di Eleonora Masini, è apparso in un articolo di sintesi sulla Rivista
“AltroNovecento”.[7]
All'inizio degli anni 70 in Italia ci si accorse che esisteva
una serie di studi che venivano chiamati "studi sul futuro " nei
paesi di lingua anglosassone e "prospective " in quelli di lingua
francese. Anche io feci la scoperta leggendo libri e testi in particolare di
persone come Bertrand de Jouvenel , Robert Jungk e Johan Galtung. de Jouvenel,
insieme ad altri in Francia, già dalla fine della seconda guerra mondiale
,aveva iniziato a creare una corrente di pensiero che si sarebbe raccolta più
tardi, intorno al centro "Futuribles" e alla omonima rivista a
partire dagli anni 60 agli anni 70. In questo ambito scrivono ed operano
personaggi come Gaston Berger, che iniziò ad usare il termine "prospective"
già negli anni 50 intendendo con questo guardare avanti non per sognare ma per
agire. L'atteggiamento di "prospettive" per Berger aiuta a guardare
alla realtà in mutamento nella sua complessità, nella sua mobilità, con tutti i
rischi e le sorprese che tutto ciò comporta. Berger in questo modo ci introduce
ad agire in un modo o in un altro secondo i nostri valori.
Il termine ed il concetto "Futuribles", per de
Jouvenel, poneva l'accento sui diversi futuri possibili e probabili e sulla
asserzione che l'unico spazio temporale su cui l'essere umano può agire é il
futuro.
Tutto questo fervore di idee sul futuro era certo dato dalla
necessità di costruire in Europa una società nuova dopo la distruzione della
seconda guerra mondiale, ma al tempo stesso mostrava la vitalità del pensiero
europeo. Tale pensiero in Francia non rimaneva però chiuso, in quel periodo,
nel mondo accademico, ma influiva su quello politico e così troviamo che molti
ministeri hanno una "Unité de Prospective", che il direttore
dell'Electricité di France era un grande manager ma anche un prospettivista,
Pierre Massé. Egli già negli anni sessanta si pone per il futuro una serie di
problemi come l'addensamento demografico, la polarizzazione dello sviluppo
industriale e soprattutto la necessità di inquadrare la programmazione
economica, di breve termine, in quella politica e tecnologica di lungo termine,
cioè almeno 20 anni. Si tratta certo di una grande lungimiranza vista a
distanza di quaranta anni ma una novità ancora inascoltata oggi in quasi tutti
i paesi del mondo.
Dalla Francia
l’interesse per il futuro presto si spostò in Italia dove il terreno di
frontiera tra le scienze dure e le scienze umane era stato tracciato dalla
Rivista “Civiltà delle Macchine” fondata nel 1953 da Giuseppe Eugenio Luraghi e
Leonardo Sinisgalli.
Sulla linea di
Bertrand de Jouvenel[8],
Pietro Ferraro[9],
manager e proprietario delle Cartiere del Timavo a Trieste fondò la Rivista
“Futuribili” a cui parteciparono molti intellettuali di frontiera: Sergio
Cotta, Valerio Tomini, Silvio Ceccato, Giorgio Nebbia. La rivista si chiuderà
nel 1974 con la morte del suo fondatore. Ma ormai l’interesse per il futuro si sarebbe
spostato sul Club di Roma e su Aurelio Peccei. Rimanendo ai primi anni ’70, continuava
Eleonora Masini nella sua nota autobiografica:
Nello stesso periodo io mi ero avvicinata, come sociologa, al
mondo degli studi sul futuro ed in particolare a quelli di indirizzo francese
ed avevo iniziato un centro di studi di previsione sociale nell'ambito
dell'IRADES (Istituto Ricerche Applicate Documentazione e Studi) che era stato
creato da Don Pietro Pace quale Segretario Generale con la presidenza di
Flaminio Piccoli. Si trattava certo di un istituto di indirizzo cattolico e
democristiano le cui altre attività erano in ambito pastorale.
Il centro di
previsione sociale costituì un'ampia biblioteca e documentazione, iniziò corsi
ad alto livello e organizzò la terza grande conferenza mondiale di studi sul
futuro nel 1973. A tale conferenza parteciparono tutti gli studiosi più
conosciuti da de Jouvenel, a Fred Polak autore di immagini del futuro dall'Olanda,
da Ossip Flechtheim autore di storia e futurologia e coniatore del termine
futurologia, a Robert Jungk scrittore. Tutti questi autori erano europei.
Dall'Italia é da notare la partecipazione di Pietro Ferraro, Bruno De Finetti,
Aurelio Peccei, Giuseppe De Rita, Sabino Acquaviva, Achille Ardigò e Giorgio
Nebbia. Da altri paesi John Mchale sociologo, Harold Linstone metodologo
insieme a Yehzkel Dror .Ancora dall'Europa E.. inventore di piccolo é bello,
Sam Cole della Sussex University e Ian Miles oggi all'avanguardia dei così
detti "foresight studies"(si tratta dell'ultima metodologia a livello
nazionale di studi previsionali) all'Università di Manchester
Per la prima volta personaggi che hanno influenzato il futuro
dei paesi in via di sviluppo erano presenti. Lo stesso si può dire di persone
dall'allora "oltre la cortina" come Igor Bestuzhev Lada, USSR, Ian
Strezlezki dalla Polonia, Erzebet Novaki dall’Ungheria e molti altri. Bisogna
ricordare aquesto proposito che si trattava del periodo di piena guerra fredda.
Questa conferenza ha avuto conseguenze in molti paesi dove
gruppi sono stati creati ed ancora oggi se ne ricorda l'importanza in modi
diversi.
Purtroppo nel 1975 l'IRADES venne chiusa in modo rapido e non
giustificato ed io, che ero diventata, nel frattempo, segretario generale della
appena nata World Futures Studies Federation (1973 presso l'UNESCO) mi trovai
nella scomoda posizione di lasciare tutto il lavoro fatto ma anche di salvare l’indirizzario
dei membri delle WFSF che appartenevano a vari paesi e che avrebbero potuto
essere in pericolo se caduti in mani non adatte. Con l'aiuto di Aurelio Peccei
portai via l'indirizzario ed aprii una casella postale, tuttora esistente
avvertendo ogni membro della WFSF. Per vari anni mantenni la posizione di
segretario generale sulle mie forze personali con l'aiuto morale dei
presidenti, prima Johan Galtung, poi Mahdi Elmandjra; Finalmente nel 1980 la
Svezia venne in aiuto assumendosi la segreteria generale con Goran Backstrand
(poi diventato membro dedicato della Croce Rossa.). Tra il 1980 e il 1990 i
segretari generali furono Jim Dator politologo delle Hawaii e il matematico
Pentti Malaska della'Accademia delle Scienze Finlandesi. Nello stesso periodo
mantenni la presidenza di questa unica organizzazione di professionisti della
previsione provenienti da vari paesi.
Come sempre la
storia non è lineare e la successione degli eventi segue diacronie così
complesse che è difficile individuarne le cause e gli effetti.
Nel 1968, presso
il Massachusetts Institute of Technology (MIT), in un contesto che sempre più
vedeva lo sviluppo dei grossi elaboratori elettronici, Jay W. Forrester aveva
sviluppato il programma DYNAMO con cui si potevano risolvere numericamente
sistemi di equazioni differenziali. In particolare con questo programma si era
incominciato a mettere a punto modelli in grado di rappresentare gli andamenti
nel tempo di sistemi economici complessi, retti da equazioni non lineari, che
difficilmente avrebbero potuto trovare una soluzione analitica. Nel 1970, il Club
di Roma, che aveva raccolto un gruppo di intellettuali di tutti i Paesi
individualmente preoccupati dalla crescente minaccia dell’esaurimento delle
risorse, dell’inquinamento e della crescita incontrollata della popolazione
mondiale invitò il System Dynamic Group del MIT, diretto da Dennis L. Meadows a
intraprendere uno studio sulle dinamiche mondiali. Due anni più tardi ne uscì
un “rapporto sui dilemmi dell’umanità” intitolato I limiti dello sviluppo.[10]
Aurelio Peccei, direttore del Club di Roma ne scrisse la prefazione e il libro
ebbe immediata ripercussione mondiale.
“La pubblicazione di questo libro coincide con un periodo di
grandi manovre e di grandi incontri politici – scriveva Aurelio Peccei – […] la
Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli Scambi e lo Sviluppo […] la
Conferenza di Stoccolma sull’Uomo e il suo ambiente […] Da tutto ciò sorgono
domande angosciate. Che cosa succede effettivamente in questo mondo piccolo,
sempre più dominato da interdipendenze che ne fanno un sistema globale
integrato dove l’uomo, la società, la tecnologia e la Natura si condizionano
reciprocamente mediante rapporti sempre più vincolanti?”
da: I limiti dello
sviluppo. Rapporto del Club di Roma, Milano : Mondadori, 1972
Dai grafici
riportati nel Rapporto e in
particolare da quello qui riportato emersero inquietanti proiezioni sul futuro
di un Mondo in cui presto si sarebbero esaurite le risorse naturali, il
prodotto industriale sarebbe crollato a partire dai primi anni del nuovo
secolo. Sappiamo che le previsioni furono errate e infatti nel 2004 sono stati
pubblicati i risultati di un nuovo studio con il titolo Limits to Growth: The 30-Year Update (tradotto e pubblicato in
Italia nel 2006 col titolo I nuovi limiti
dello sviluppo) che sulla base di una grande mole di nuovi dati aggiorna ma
conferma i risultati precedenti: è necessaria una presa di coscienza riguardo
ai limiti. Ciò nonostante non sono mancate le critiche in merito alla
inaffidabilità dei modelli numerici, che pur sempre devono fare i conti con
l’imprevedibilità dei sistemi caotici.
Ritornando invece
agli anni ’70 del XX secolo si deve ricordare che dal 1975 Cesare Marchetti era
entrato allo IAASA di Schloss Laxenburg, in Austria, nei pressi di Vienna, dove
questo studioso sviluppò una personalissima analisi dei fenomeni economici
misurabili, arrivando anche a toccare non senza ardimento alcuni settori della
politica e della cultura. Con l’introduzione della variabile N / (1 – N), dove
N esprime la percentuale di presenza di una certa grandezza fisica, incominciò
ad esplorare i settori dei trasporti e dell’energia nei confronti dei quali
disponeva di serie storiche negli ultimi due secoli. Ne sono emersi
interessanti grafici le cui proiezioni ebbero un significativo impatto anche
nelle cronache italiane.
In questo grafico
le ordinate indicano come la percentuale di impatto di una certa tecnologia
evolva nel tempo. I grafici realizzati lungo i due ultimi secoli dimostrano il
declino dei trasporti lungo i canali, l’ascesa e il declino delle ferrovie. La
crescita delle strade (e del relativo trasporto su gomma) e quella dei
trasporti aerei fanno supporre della possibilità di una estrapolazione delle
curve. Su questi semplici modelli si è fondata gran parte dell’attività
‘predittiva’ di Cesare Marchetti che si presentava in una lunga intervista,
apparsa il 12 gennaio 1984 sul “Corriere dell’economia” con il titolo Come sapere tutto sul futuro con
cinquant’anni d’anticipo. Ma è
facile fare previsioni ‘a posteriori’ e di fatto anche dagli studi compiuti
allo IAASA sono emersi risultati importanti, ma di fatto poco utili a scopi
pratici. E se nell’articolo citato si poteva leggere che si sarebbe potuta
prevedere la crisi energetica, di fatto ciò non è avvenuto.
Al Santa Fe
Institute, fondato nel 1984 da un gruppo di scienziati provenienti dal Los
Alamos National Laboratory dove si studiano i sistemi complessi dalla fisica
alla finanza, la sfida di predire il futuro è sempre di grande attualità. A
seguito di un workshop tenutosi nell’agosto del 2016 con il titolo Prediction: How good can we get? Jenna
Marshall, Manager of Communications, ha scritto[11]:
Scientists are getting
better at predicting the future, but prediction remains an inherently difficult
problem. Indeed, there’s good reason to believe we will eventually bump against
some fundamental limits. What are those limits?
During a recent workshop
at SFI, experts attempted to get a handle on this most fundamental of
questions.
The question isn’t just
about how well we can predict things today using current ideas and
technologies, says SFI Omidyar Fellow Josh Grochow, who co-organized the
workshop with SFI President David Krakauer.
“The idea is that there
are limits to prediction – practical, theoretical, and fundamental – and we
want to understand what goes into those,” Grochow says.
A classic example of
where prediction faces fundamental challenges is in chaotic systems. By
definition, the future of a chaotic system depends very sensitively on its
initial conditions. Inherent limits on our ability to measure those starting
points make prediction more difficult.
But even that is a fairly
mild challenge compared to situations where evolution, adaptation, and
innovation come into play. How, for example, would biologists predict the
future evolution of species, where mutation and natural selection combine to
produce...what, we don’t really know. Likewise, predicting the future of
technology even five to ten years out is often little more than a guessing
game.
The workshop was a first
attempt to understand how much better we might be able to do. “We think that
getting at the core issues of prediction in complex adaptive systems will
benefit from and possibly require every tool in the tool chest we have for
prediction, in every field,” he says. “So we want to bring people together, to
see what those tools are, where they’re going, and how they might be combined
to get a better understanding of the limits of prediction.”
La
misura del future resta un problema aperto.
[1] A tale proposito si
faccia riferimento al volume di Nicolaj Kondrat’ef, I cicli economici maggiori, a cura di Giorgio Gattei, Bologna : L.
Cappelli, 1981,
[2] Fred Polak, The image of the
future, (translated and abridged by Elise Boulding), Amsterdam : Elsevier,
1973, p. 151.
[3] Bertrand De Jouvenel, L’art de la
conjecture. Futuribles, Monaco : Editions du Rocher, 1964 (trad it. L’arte della congettura, Firenze : Vallecchi, 1967).
[4] Pareto si è anche
compiaciuto (nel Manuale di economia
politica) di mettere in luce l'impossibilità pratica di risolverli, a causa
del numero delle equazioni. Morgenstern fornisce una ragione migliore dedotta
dalla scienza statistica. Cfr. Oskar Morgenstern, Experiment and Computation, in Economic Activity Analysis, op.
cit., p. 491).
[5] Nel già citato articolo I problemi della sociologia apparso
sulla "Rivista italiana di sociologia" nel marzo 1899, Pareto aveva scritto che paragonando“il
trattatello detto oìxonomikon, che va
sotto il nome di Aristotele, col trattato di economia politica di Adamo Smith o
meglio ancora con quello del Walras; il progresso è immenso, ed eguale a quello
che si osserva tra la meccanica degli antichi e la meccanica dei moderni.
[6] Oskar Morgenstern, loc.
cit.
[7] Eleonora Masini, Interrogare il futuro. Gli studi sul futuro
in Italia e d Europa, “AltroNovecento”, n.2 (marzo 2000).
[8] Giorgio Nebbia, Bertrand de Jouvenel (1903-1987),
“Altronovecento”, n.1, novembre 1999.
[9] Giorgio Nebbia, Pietro Ferraro (1908-1974),
“Altronovecento”, n.13, dicembre 2008.
[10] Donella H. Meadows et al, I limiti dello sviluppo. Rapporto del
System Dynamics Group Massachusetts Institute of Technology per il progetto
del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità, Milano : Mondadori EST,
1972.
[11]
https://www.santafe.edu/news-center/news/prediction-how-good-can-we-get
Ingegnerie della divinazione (9)
Dall’economia alla sociologia
Quando
nel 1899 Vilfredo Pareto scriveva sulla "Rivista italiana di
sociologia" un articolo intitolato I
problemi della sociologia[1]
già aveva in mente a quale destinazione avrebbero portato le sue ricerche.
Fare la critica di tali ricerche dicendo che
è inutile di occuparsi di ciò che non è reale, è cosa che non regge, perché il
non reale si studia appunto per scuoprire la proprietà del reale. Che se poi
alcuno soggiungesse che di quelle proprietà non si cura, altro non c'è da
rispondergli se non che vada pei fatti suoi e non faccia perdere tempo a chi
invece vuole conoscere il vero. Taccio di un altro genere di utilità di quelle
ricerche; e cioè del potere esse modificare le idee degli uomini e perciò fare che
il fenomeno reale, il quale è pure dipendente da quelle idee, si modifichi in
avvenire. […] È assurdo, per esempio, rimproverare alle teorie economiche di
non considerare la morale […] Ma sarebbe del pari assurdo il pretendere che le
teorie economiche bastino per farci conoscere i fenomeni concreti sociali. […]
L'economia politica pura corrisponde alla meccanica razionale; spinge pure
l'astrazione all'estremo, studia uno scheletro delle operazioni economiche; gli
uomini sono ridotti a semplici molecole edonistiche, come nella meccanica
razionale i corpi solidi sono ridotti a punti materiali. […] Per procedere
oltre si chiede aiuto ad altre scienze: all'etica, alla scienza delle
religioni, alla politica, ecc. E poiché pare utile di dare un nome alla scienza
che opera tale sintesi, si può, se non c'è nulla in contrario, chiamare
sociologia tale scienza; ed, estendendone il dominio, si può anche intendere
che tutte quelle altre scienze parziali sono rami della sociologia. La
sociologia, considerata in quel modo, ci appare ora come un albero che avrebbe
un ramo bene sviluppato: quello cioè dell'economia politica, e gli altri che
spuntano appena. L'economia politica è cresciuta rigogliosa, ha persino
recentemente dato una scienza pura che ha il rigore logico della meccanica
razionale. Le altre scienze sociali sono ben lungi da un tale grado di
perfezione.
Il
termine “divinazione” che con valenza assai critica compariva solamente tre
volte nel Manuale (e non poteva
essere altrimenti per un “puro ingegnere”) ora nel Trattato prende il sopravvento, perché la nuova tensione essenziale
guarda all’uomo e alle sue relazioni sociali. Ed è di questo Pareto che Filippo
Burzio si innamora.
Una forte, anzi crescente, accensione
fantastica ha contrassegnato la mia scoperta di Pareto. Amore difficile le cui
idee scientifiche – e, più la posizione etica – non sono comprese attualmente
che da ben poca gente, egli è, per contro, uno scrittore piacevolissimo. La
morgue scientifica, la pruderie accademica non allignano, certo, nelle sue
pagine.[2]
A
questo punto si entra in una nuova dimensione che sempre più si allontana dalla
ingegneria e si avvicina all’uomo. Ma in questo saggio, che rivolge le sue
attenzioni allo studio – e se possibile – alla misura e alla previsione del
futuro, l’indagine si focalizzerà su di essi, inevitabilmente più distanti dal
cuore centrale del Trattato, da cui
scaturirà la burziana teoria delle élite. Sono ora le teorie a interessare
Vilfredo Pareto nella sua ricerca di una chiave interpretativa del mondo.
Poiché nessuna teoria assolutamente
s’impone, preferiremo, tra le teorie che possiamo scegliere, quella che ha
minori divergenze coi fatti del passato e che meglio ci concede di prevedere i
fatti del futuro, e che inoltre si estende ad un maggior numero di fatti.
V. Pareto, Trattato di Sociologia Generale, 1916, 106.
Le scienze esatte,
che hanno costituito il nucleo centrale della Bildung universitaria di Pareto, continuano a essere un riferimento
assoluto in una visione del mondo deterministica e proprio queste “scienze
esatte” costituiscono lo strumento operativo per costruire un modello del
mondo.
Ad esempio, in astronomia, la teoria degli epicicli, che ora
taluni, mossi dal sentimento, procurano di riabilitare, soddisfa alla
condizione di figurare bene i fatti del passato, come ci sono noti.
Moltiplicando quanto occorre il numero degli epicicli, si può figurare ogni
movimento degli astri noto dall’osservazione, ma non si possono prevedere, o
almeno non egualmente bene prevedere i movimenti futuri, come colla teoria
della gravitazione.
V. Pareto, Trattato di
Sociologia Generale, 1916, 107.
Ora però le
scienze sociali manca ancora una conoscenza dei fenomeni tale da permettere una
modellazione matematica in grado da diventare lo strumento per la previsione
del “probabile”. E in questo senso, pur nella constatazione di essere lontani
da tale meta, al Pareto resta ancora la speranza che ciò possa avvenire in
futuro.
Perciò nessuno studio che miri a trovare qualche uniformità
nelle relazioni dei fatti sociali può dirsi inutile; può bene essere tale nel
presente, anche in un avvenire prossimo, ma non possiamo sapere se non verrà un
giorno in cui, congiunto ad altri, gioverà prevedere il probabile futuro dello
svolgimento sociale.
V.Pareto, Trattato di
Sociologia Generale, 1916, 140.
A
questo punto l’indagine si sposta sul piano antropologico dove la semplice
osservazione del presente mostra come “i
fatti dello spiritismo, della telepatia, della Christian Science, e di altri
simili” dimostrino “ quanto potere
abbiano ancora questi ed altri analoghi sentimenti.”[3] Infatti “nel Napoletano moltissimi
sono coloro che portano appeso alla catena dell’orologio un corno di corallo,
per sfuggire al malocchio. Un gran numero di giocatori hanno degli amuleti, o
fanno certi atti stimati adatti a procurare la vincita.”[4] La presenza
della cultura classica nelle considerazioni di Vilfredo Pareto prende allora il
sopravvento quando facendo riferimento alla previsione dei fenomeni
meteorologici che sembrano invece essere fenomeni più facilmente assogettabili
ad una modellazione fisica.
Seneca lungamente discorre delle cause dei fenomeni
meteorologici, e deride le magiche operazioni. Egli non ammette la previsione
del tempo, coll’osservazione, che per lui è solo una preparazione alle pratiche
che si usano per respingere il mal tempo. Dice che a Cleone vi sono ufficiali
pubblici detti osservatori della grandine. Tosto che essi indicavano
l’approssimarsi dell’uragano, gli abitanti correvano al tempio e sacrificavano
chi un agnello, chi un pollo; e le nubi andavano altrove. Chi nulla aveva da
sacrificare si pungeva il dito e versava un poco di sangue. “Si è cercata la
ragione di questo fenomeno. Altri, come conviene a savissimi uomini, negano
essere possibile che colla grandine si possa contrattare, e dalle tempeste
redimersi con piccoli doni, quantunque i doni anche gli dei vincano.
V.Pareto, Trattato di
Sociologia Generale, 1916, 194.
Riprendendo il
testo di Bouche Leclerc, Histoire de la
divination dans l’art, Vilfredo Pareto, con spirito positivista propone un
parallelo tra la divinazione e la religione[5]
e afferma che nell’antica Roma “l’importanza data alla semplice associazione
d’atti e d’idee spiega una delle regole più straordinarie della divinazione,
quella che dà all’auspicio inventato la stessa efficacia dell’auspicio
realmente osservato.”[6]
A questo punto in un successivo passaggio si torna al confronto tra economia
politica e sociologia, pur restando quest’ultima nelle più profonde attenzioni
dello studioso che sembra avere completamente al suo positivo destino
l’econometria per affrontare le strade di una “nuova scienza”.
Se l’economia politica è molto più progredita della
sociologia ciò dipende, in gran parte, dal fatto che essa studia azioni
logiche; e sarebbe stata sino da principio una scienza ottimamente costituita,
se non avesse trovato un grave ostacolo nel fatto che i fenomeni studiati erano
interdipendenti, mentre le premesse che si dedicavano a tale studio non erano
capaci di seguire l’unica via che ci sia nota per tenere conto della
interdipendenza. Fu tolto almeno in parte l’ostacolo accennato, quando si usò
la matematica per lo studio dei fenomeni economici, e venne per tal modo
costituita una scienza, cioè l’economia matematica, che può stare alla pari con
altre scienze naturali.
V.Pareto, Trattato di
Sociologia Generale, 1916, 263.
Se “già Cicerone
esprimeva l’opinione che le pratiche della divinazione erano state accettate
dagli antichi come fatti piuttosto che come conseguenze di ragionamenti (De divinatione I,3.4)”[7]
e così l’Azione non logica precede il
fatto mentre la “vernice logica” ne consegue solo dopo la constatazione del
fatto medesimo. E infatti, aggiunge sempre il Pareto “nello scritto di
Cicerone, De natura Deorum, il
pontefice Cotta disgiunge l’uomo di Stato, dal filosofo. Come pontefice, egli
protesta che difenderà ognora le credenze, il culto, le cerimonie e la
religione degli antenati, e che mai nessun discorso di scienziato o di
ignorante a lui farà mutare parere. E’ persuaso che Romolo cogli auspici, e Numa col culto, hanno fondato Roma.”[8]
Ma più avanti nel Trattato l’illusione di una conoscenza
totale dei fenomeni, che inevitabilmente trova le sue ragioni nelle ipotesi di
Pierre-Simon de Laplace, continua a farsi strada.
Con ciò si verrebbe a dire che tanto vale non occuparsi mai
di probabilità, ed operare in ogni caso alla cieca, andando a caso, perché
tutte le probabilità sono soggettive, e la distinzione che vorrebbe fare il
Bertrand regge solo come quantità maggiore o minore di conoscenze. […] I
movimenti di chi deve estrarre la pallottola (dall’urna) sono determinati come
quelli dei pianeti; la differenza sta solo in ciò che noi non sappiamo
calcolare i primi e sappiamo calcolare i secondi. La regolarità di certi
movimenti dipende dal numero e dal modo di operare delle forze; e ciò che
diciamo manifestazione del caso è la manifestazione di numerosi effetti che si
intrecciano. […] L’estrazione da un’urna può essere paragonata al primo
fenomeno cioè a quello osservato per la settima cifra dei logaritmi del Vega;
naturalmente per chi ha conoscenze assai estese di aritmetica, altrimenti chi
ignora ciò che siano quadrati e logaritmi, nulla può prevedere.
V.Pareto, Trattato di
Sociologia Generale, 1916, 558.
Perché mai a
questo punto Vilfredo Pareto chiama in causa il Galluppi con le sue
considerazioni intorno a profezie e miracoli? Come già in Cicerone, ancora nel
XX secolo l’idea di una scienza del futuro, in contrasto/equilibrio con una
religione positiva lascia aperti molti interrogativi e il “futuro” resta pur
sempre un concetto conteso tra fisica e meta-fisica.
Scrive il Galluppi nella sua Teologia naturale: […] (p.61) La profezia, in rigore, è un
miracolo; poiché è una conoscenza non naturale, ma al di là delle forze naturali
dello spirito umano. Ma la profezia può essere relativamente ad eventi molto
lontani, ed il profeta può non avere il dono dei miracoli. La profezia solo non
è dunque sempre sufficiente a provare la missione divina. Ma il miracolo con
cui un apostolo divino promette agli uomini di provare la sua missione divina è
sempre unito con una certa profezia.
V.Pareto, Trattato di
Sociologia Generale, 1916, 623.
Ma forse è bene
riportare in carreggiata il problema di una misura del futuro che
inevitabilmente si sposta dai fenomeni economici a quelli sociali, ben più
importanti per chi voglia avere una visione razionale del mondo. I fatti
dimostrano però le difficoltà che si incontrano nella applicazione di modelli
matematici alla scienze sociali e solamente in un caso Vilfredo Pareto ritorna nel
Trattato a far uso di quelle funzioni
che avevano occupato tanto posto nel Manuale.
Qui quasi sembra anticiparsi quella serie di teorie sui cicli economici che nel
Novecento occuperanno i lavori di molti econometristi, a partire da Nicolaj
Kondrat’ev, a cui si farà più a vanti riferimento.
724. Se vogliamo stare esclusivamente ai fatti, vedremo che
il fenomeno non ha una forma uniformemente crescente ab, o decrescente; ma che segue una linea pqrst, che è oscillante, che ora sale, ora discende. 725. Le
mitologie di Esiodo e di Omero sono certo meno astratte, meno sottili, che la
religione di Platone; la quale lo è anche più di quella del Vangelo e dei primi
Padri della Chiesa. Pare probabile che la Grecia antica, dopo un periodo
arcaico di incivilimento, ha avuto un medioevo seguito da un rinascimento e si
ha così un fenomeno analogo a quello che è seguito in Europa, dai tempi della
repubblica romana sino ai tempi nostri. […] 728. La teoria che pone la perfezione
al termine dell’evoluzione è generalmente congiunta ad un’altra, che spesso
abbiamo ricordata, e secondo la quale i selvaggi contemporanei sono molto
simili agli antenati preistorici dei popoli civili. Per tal modo si hanno due
punti fissi per determinare la linea dell’evoluzione, e prolungandola
sufficientemente, si ottiene – o si crede di ottenere – il limite al quale si
avvicinerà pel futuro
V.Pareto, Trattato di
Sociologia Generale, 1916, 724-25,728.
[1] Vilfredo Pareto, I problemi della sociologia,
"Rivista italiana di sociologia", marzo 1899, pp. 145-157.
[2] Filippo Burzio, Pareto e altri, in Scritti demiurgici, p. 228.
[3] V.Pareto, Trattato di Sociologia Generale, 1916,
184.
[4] V.Pareto, Trattato di Sociologia Generale, 1916,
185.
[5] V.Pareto, Trattato di Sociologia Generale, 1916,
224.
[6] V.Pareto, Trattato di Sociologia Generale, 1916,
263.
[7] V.Pareto, Trattato di Sociologia Generale, 1916,
296 nota.
[8] V.Pareto, Trattato di Sociologia Generale, 1916,
308.
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