Una diversa cultura
Diverso invece
dovrebbe essere l’atteggiamento, di chi affronta gli studi sul futuro, nei
confronti di una cultura orientale dove l’equilibri dello Yin e dello Yang, del
positivo e del negativo, sono in netto contrasto con l’etica, oseremmo dire
manichea, della cultura occidentale. Per rimanere fuori dalla rivoluzione
scientifica occidentale si rivolga l’attenzione all’I Ching il libro dei mutamenti.[1]
Scriveva John
Blofeld nella sua ampia introduzione, che “gli autori del Libro della Mutazione non consideravano il futuro come
inalterabile.”
Essi pensavano in termini di potenti sequenze di mutamento,
in base a un corso regolare, con risultati pronosticabili, come il processo
delle quattro stagioni, oppure come un fiume, che ora scorre in mezzo a gole
strette, ora si fa strada battendosi fra le rocce, ora scorrendo calmo e lento:
la sua acqua essendo destinata prima o poi a raggiungere il mare. Non erano
fatalisti i quali insegnassero che gli uomini non hanno alcun controllo sul
proprio destino. Un uomo che nuota con la corrente può, a ragione, scegliere la
rotta. E anche se tenta di nuotare contro la corrente e in mezzo a vortici
infidi la sua distruzione può essere promossa o procrastinata, entro certi
limiti, dal suo stesso agire. [2]
Affascinato dalla
potenza simbolica e al tempo stesso etica dell’ I Ching lo stesso Gustav Jung che ne aveva curato una edizione nel
1949, così scriveva:
Per capire in generale di che cosa tratti un simile libro è
imperativo buttare a mare certi pregiudizi della mentalità occidentale. E'
curioso che un popolo dotato e intelligente come i cinesi non abbia mai prodotto
ciò che noi chiamiamo "scienza". La nostra "scienza", però,
si basa sul principio di causalità, e la causalità è considerata verità
assiomatica. Ma un grande cambiamento è ormai avviato. Gli assiomi della
causalità sono scossi nelle loro fondamenta: ora sappiamo che quello che noi
chiamiamo leggi di natura non sono altro che verità statistiche, costrette
perciò ad ammettere delle eccezioni. Non abbiamo tenuto abbastanza conto del
fatto che, per dimostrare la validità invariabile delle leggi di natura,
abbiamo bisogno del laboratorio con le sue incisive restrizioni. Se lasciamo
che la natura faccia da sè, vediamo un quadro ben differente: ogni processo
subisce interferenze parziali o totali ad opera del caso, e in misura tale che
in circostanze naturali un corso di eventi che si conformi in tutto e per tutto
a leggi specifiche rappresenta quasi un'eccezione. La mentalità cinese, quale
io la vedo all'opera nell'I Ching, sembra preoccuparsi esclusivamente
dell'aspetto accidentale degli eventi. Ciò che noi chiamiamo coincidenza sembra
essere la cosa della quale questa peculiare mentalità s'interessa
principalmente, mentre ciò che noi adoriamo come causalità passa quasi
inosservato. Dobbiamo ammettere che qualche cosa si possa dire in favore
dell'immensa importanza del caso. Una quantità incalcolabile di sforzi umani è
rivolta a combattere e limitare i danni o i rischi rappresentati dal caso.
Spesso le considerazioni teoriche su causa ed effetto appaiono pallide e
polverose a paragone degli effetti pratici del caso. […]
Proprio il
rapporto tra causalità e casualità trova in questo trattato una prospettiva
assolutamente diversa da quanto noi occidentali abbiamo ormai sedimentato negli
statuti epistemologici della nostra civiltà. Jung, per molti aspetti un pensatore
“irregolare” sullo scenario europeo, così continuava:
Il modo in cui l'I Ching tende a considerare la realtà
implica un giudizio poco favorevole per i nostri procedimenti causalistici.
L'istante che sta sotto osservazione appare all'antica visione cinese più come
un colpo di fortuna che come il risultato ben definito di catene causali
concorrenti. Ciò che interessa sembra essere la configurazione che gli eventi
accidentali assumono al momento dell'osservazione, e niente affatto le ragioni
ipotetiche che apparentemente rendono conto della coincidenza. Mentre la
mentalità occidentale pone ogni cura nel vagliare, pesare, scegliere,
classificare, isolare, l'immagine che il cinese si fa del momento racchiude
ogni cosa fino al più minuto e assurdo particolare, perché l'istante osservato
è il totale di tutti gli ingredienti. […]
Questa teoria implica un certo strano principio che io ho
denominato sincronicità, un concetto che formula un punto di vista
diametralmente opposto a quello della causalità. Quest'ultimo, essendo una
verità meramente statistica e non assoluta, è una specie di ipotesi di lavoro
sul modo in cui gli eventi evolvono l'uno dall'altro, mentre la sincronicità
considera particolarmente importante la coincidenza degli eventi nello spazio e
nel tempo, scorgendovi qualche cosa di più che il mero caso, e cioè una
peculiare interdipendenza degli eventi oggettivi tra loro, come pure tra essi e
le condizioni soggettive (psichiche) dell'osservatore o degli osservatori. […]
E alla fine delle
sue considerazioni quasi chiedeva scusa al suo pubblico nell’affrontare
“psicologicamente” questa visione del mondo così contrastante con la scienza
occidentale, anche se proprio nella prima metà del Novecento la stessa scienza
più avanzata poneva con la fisica quantistica i primi dubbi metodici sui
concetti di tempo e di spazio, di causa ed effetto.
Devo confessare che durante la stesura della prefazione non
mi ero sentito troppo a mio agio, giacché, per il mio senso di responsabilità
verso la scienza, non ho l'abitudine di asserire qualcosa che non posso provare
o almeno presentare come accettabile alla ragione. E' un compito ingrato, in
verità tentare di presentare a un pubblico moderno e non privo di senso critico
una raccolta di arcaiche "formule magiche" con l'idea di renderle piò
o meno accettabili. Io mi sono accinto a questo compito perché ritengo che nel
modo di pensare degli antichi cinesi vi sia ben più di quanto possa sembrare a
prima vista. L'I Ching insiste continuamente sull'importanza di conoscere sè stessi.
Il metodo con cui si dovrebbe arrivare a questa conoscenza si presta ad abusi
d'ogni genere, e non è fatto, quindi, per le persone frivole e immature; come
non è fatto per gli pseudointellettuali e i razionalisti. […]
E' chiaro che il metodo mira alla conoscenza di sè, sebbene
attraverso i millenni sia stato anche messo al servizio della superstizione.
E' ovvio che io sono profondamente convinto del valore della
conoscenza di sè; ma che senso ha raccomandare questa conoscenza quando i
maggiori saggi di ogni tempo ne hanno predicato la necessità senza successo?
Persino all'occhio più prevenuto è chiaro che questo libro rappresenta una
sola, lunga esortazione a esaminare con cura il proprio carattere, il proprio
comportamento e le proprie motivazioni. […]
Zurigo, 1949
E così in un mondo
sempre più globalizzato dove i fenomeni entropici tendono a uniformizzare e ad
appiattire le culture, le mistiche orientali rimangono forse indenni a
presidiare nuovi spazi alle visioni del futuro.
Quando nel 1995 Tiziano
Terzani racconterà i suoi viaggi per mare e per terra compiuti nel 1993, senza
mai prendere un aereo, perché un indovino gli aveva previsto un grosso rischio
se avesse volato, l’idea della divinazione (magica e irrazionale) arrivò ben
oltre la schiera dei creduloni. Se da un lato il giornalista di “Der Spiegel”
incominciò il suo cammino mistico nelle filosofie orientali, dall’altro non
pochi interrogativi si riaprirono anche alla scienza ufficiale.
Ma poiché la
nostra cultura rimane fortemente arroccata intorno all’occidente non possiamo
fare a meno di ritornare sui nostri passi, inseguendo gli effetti della scienza
nuova, delle istanze filosofiche dell’illuminismo e della centralità di un
sapere positivo fondato sulle matematiche.
[1] Il Libro dei Mutamenti (Yìjīng, I Ching) conosciuto anche come Zhou
Yi ovvero I Mutamenti (della dinastia) Zhou, è il primo dei testi classici
cinesi. I Ching fu introdotto in Europa da Gottfried Wilhelm von Leibniz nella
sua pubblicazione del 1697 Novissima
sinica.
[2] I-Ching il libro della mutazione, a cura di John Blofeld, Milano :
Mondadori, 1973, p. 63.
Nessun commento:
Posta un commento