Le ragioni di una formazione politecnica
Se le pagine precedenti
sono servite a introdurre il tema della “misura del futuro”, a questo punto si
deve aprire una nota intorno alla Bildung
dei due veri protagonisti di questa dissertazione: Filippo Burzio e Vilfredo
Pareto.
Filippo Burzio
(Torino, 16 febbraio 1891 – Ivrea, 25 gennaio 1948), si era laureato in
ingegneria industriale meccanica al Politecnico di Torino il 21 dicembre 1914.
Lo stesso era accaduto a Fritz Wilfrid (Vilfredo) Pareto (Parigi, 15 luglio
1848 – Céligny, 19 agosto 1923), anch’egli laureatosi a Torino in ingegneria
presso la Scuola di applicazione per gli ingegneri[1]
il 14 gennaio 1870 con una dissertazione sui Principi fondamentali dell'elasticità dè corpi solidi e ricerche sulla
integrazione delle equazioni differenziali che ne definiscono l'equilibrio.
Per entrambi i confini dell’ingegneria, che sembrano così rigorosamente rigidi
e deterministici, si apriranno a dimensioni inaspettate.
A Torino, dove
alle Scuole di ingegneria aveva insegnato anche Luigi Einaudi e dove Effrem
Magrini aveva aperto gli studi della progettazione alle problematiche sociali,
tra la fine dell’Ottocento e i primissimi anni del Novecento si stavano
verificando le alchimie per una nuova visione del mondo, dove gli ingegneri
sempre più diventavano progettisti del futuro. Sarà stato il terreno fertile
alimentato dall’humus della business community
subalpina, sarà stato semplicemente un caso fortunato, ma quelli furono anni
felici che presto però sarebbero stati travolti da altre vicende. La rapida
scomparsa della pluralità innovativa e imprenditoriale di fronte alla nascita
della grande industria, e il conseguente sconvolgimento “degli ordinari
consueti moduli della vita nella capitale subalpina”[2]
sarà uno dei motivi che spingeranno sempre più il Burzio all’antindustrialismo
e probabilmente il suo progressivo avvicinamento alle scienze sociali. Ma la Bildung degli ingegneri è un imprinting che difficilmente si
cancella. E intorno alla formazione matematica di Vilfredo Pareto si ricordi la
“Revue européenne des sciences sociales” - Cahiers
Vifredo Pareto[3]
dove, dove nel saggio di Luigi Pepe, si legge:
[…] nella bibliografia paretiana compaiono due opere che da
sole attestano la serietà e la profondità degli studi matematici di Pareto: la
sua tesi sulla teoria dell'elasticità lineare di Cauchy e una memoria in torma
di lettera a Leopold Kronecker su un teorema di Abcl, pubblicata sul giornale
di Crelle, oltre alle sue prime ricerche di geometria analitica sul disegno
assonometrico. D'altra parte lo studio della formazione matematica di Pareto è
strettamente legato a quelli sugli insegnamenti matematici nell'Università di
Torino, dove Pareto fu studente di matematica e di ingegneria e in particolare del
superamento nell'insegnamento universitario dell'impostazione lagrangiana del
calcolo che si realizzò compiutamente proprio in quegli anni. [4]
[1] La Scuola di applicazione
per gli ingegneri (1859) e il Museo Industriale Italiano (1862) si riunirono
nel 1906 per formare il Politecnico di Torino.
[2] Paolo Bagnoli, Una vita demiurgica, p.88.
[3] “Revue européenne des
sciences sociales”, T. 37, No. 116, L'équilibre Général Enter économie et
Sociologie: Colloque du Center d'études interdisciplinaires Walras-Pareto de
I'Université de Lausanne (1999) sotto la direzione di Giovanni Busino; si
vedano in particolare i saggi di Antonio Cardini (Pareto’s Curve of Wealth Distribution and the 20th Century Events),
di Gabriele Pollini (The Social System
and the Utility of the Collectivity in Vilfredo Pareto’s Sociology), di
Maria Caterina Federici (Pareto e i
meccanismi sociali. L’approccio metodologico-scientifico nella sua sociologia),
di Roberto Marchionatti (The
Methodological Foundations of Pure and Applied Economics in Pareto.An
Anti-WalrasianProgramme).
[4] Luigi Pepe, La formazione matematica di Vilfredo Pareto,
in “Revue européenne des sciences sociales” cit., pp. 173-189.
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