lunedì 13 aprile 2020

Efficacia in Platone


Efficacia / efficace
1 ἐνεργητικός, 2 ἐνεργός, 3 δυνατός

SOCRATE: Vi sono poi altre arti che realizzano per intero il loro scopo mediante il discorso, e che di attività pratica non hanno per così dire alcun bisogno, o un bisogno del tutto marginale, come ad esempio l'aritmetica, la scienza del calcolo, la geometria, la scienza del gioco della scacchiera e molte altre arti, alcune delle quali hanno la parte teorica pressoché equivalente a quella pratica, mentre la maggior parte di esse prevede più discorsi che attività pratica, e la loro azione e la loro efficacia si realizza interamente per mezzo di discorsi. Mi pare che tu stia dicendo che la retorica è una di queste. (Platone, Gorgia)

TIMEO: Con quanta gioia, o Socrate, come se riposassi dopo un lungo cammino, mi libero ora volentieri del corso del ragionamento. Quel dio, nato un tempo nella realtà e ora nato da poco a parole, io prego che ci garantisca la conservazione, tra tutto ciò che è stato detto, di quelle cose che sono state dette con misura, e se, senza avvedercene, dicemmo qualcosa di stonato su di loro, di infliggere la giusta pena. Ma giusta punizione è rendere intonato colui che stona; affinché dunque in futuro facciamo discorsi corretti sull'origine degli dèi, preghiamo di fornirci la conoscenza, potentissimo ed efficacissimo tra i rimedi. Dopo aver così pregato, lasciamo, conformemente a quanto convenuto, il seguito del ragionamento a Crizia. (Platone, Timeo)

SOCRATE Prova, allora, a metterla così. Poniamo che mentre siamo lì lì per fuggire di qui (o comunque vogliamo chiamare questa cosa) venissero le leggi e la città tutta, si piazzassero davanti a noi e ci chiedessero: “Dimmi, Socrate, che cosa hai in mente di fare? Quale può essere il tuo intento, con questo gesto, se non di fare quanto ti è possibile per distruggere noi, le leggi, e la città intera?... O pensi che possa sopravvivere, e non essere sovvertita, una città in cui le sentenze pronunciate non hanno efficacia, e possono essere invalidate e annullate da privati cittadini?”. Cosa rispondere, o Critone, a queste o simili domande? Certo, ci sarebbe molto da dire (più di tutti ci riuscirebbe un retore) in difesa della legge che violerei, che impone che le sentenze pronunciate abbiano vigore. Preferiremo forse dare loro una risposta del tipo “la città ci ha fatto un’ingiustizia, emettendo una sentenza scorretta”? Diremo questo, o che altro? (Platone, Critone)

«Supponi dunque», continuai, «che anche noi, per quanto ci era possibile, facessimo un lavoro del genere quando sceglievamo i soldati e li educavamo nella musica e nella ginnastica; pensa che il nostro unico scopo era di persuaderli ad accogliere in sé nel miglior modo possibile le leggi come una tintura, affinché la loro opinione sulle cose temibili e sulle altre diventasse indelebile grazie alla natura e all'educazione adeguata che avevano ricevuto, e la loro tintura non fosse slavata da questi detersivi tanto efficaci a cancellare: il piacere, che nel produrre tale effetto è più potente di qualsiasi calestrea o lisciva, il dolore, la paura, il desiderio, più forti di qualsiasi altro sapone. Questa facoltà di salvaguardare pienamente l'opinione corretta e legittima su ciò che temibile e ciò che non lo è, io la chiamo e la considero coraggio, se tu non hai nulla da obiettare». (Platone, Repubblica)

«Allora tu», continuai, «che sei il loro legislatore, sceglierai le donne così come hai scelto gli uomini, in modo da unire persone il più possibile simili per natura; ed essi, avendo case e pasti in comune, dal momento che nessuno possiede niente del genere a titolo personale, vivranno assieme e frequentandosi nei ginnasi e nelle restanti attività educative saranno indotti da una necessità innata ad accoppiarsi. Non ti sembra che stia enunciando una conseguenza necessaria?» «Sì », rispose, «una conseguenza dettata da necessità non geometriche, ma erotiche, che probabilmente ha più efficacia dell'altra nel persuadere e sedurre il volgo!». (Platone, Repubblica)

«Ma il discorso attuale», insistetti, «rivela che questa facoltà insita nell'anima di ciascuno e l'organo che permette di apprendere devono essere distolti dal divenire assieme a tutta l'anima, così come l'occhio non può volgersi dalla tenebra alla luce se non assieme all'intero corpo, finché non risultino capaci di reggere alla contemplazione dell'essere e della sua parte più splendente; questo, secondo noi, è il bene. O no?» «Sì ».«Può quindi esistere», proseguii, «un'arte della conversione, che insegni il modo più facile ed efficace di girare quell'organo. Non si tratta di infondervi la vista, bensì , presupponendo che l'abbia, ma che non sia rivolto nella giusta direzione e non guardi là dove dovrebbe, di adoperarsi per orientarlo da questa parte».
(Platone, Repubblica)

«Qual è?» «Poiché la città», risposi, «è stata divisa in tre parti alle quali corrisponde una tripartizione anche nell'anima di ogni individuo, a mio parere si potrà accettare anche un'altra dimostrazione». «Quale?» «Questa. Se le parti sono tre, mi pare che siano tre anche i piaceri, ognuno proprio di ciascuna parte; lo stesso vale per i desideri e le cariche». «Che cosa vuoi dire?», domandò. «La prima parte, lo ripetiamo, era quella con cui l'uomo apprende, la seconda quella per cui prova gli impulsi; quanto alla terza, a causa della sua molteplicità non abbiamo saputo definirla con un nome appropriato, ma l'abbiamo denominata in base al suo carattere più importante ed efficace: l'abbiamo chiamata concupiscibile, per l'intensità dei desideri relativi ai cibi, alle bevande, ai piaceri amorosi e a tutti gli altri che si accompagnano a questi, e avida di ricchezze, perché questi desideri vengono soddisfatti soprattutto grazie al denaro». (Platone, Repubblica)


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