Efficacia / efficace
1 ἐνεργητικός, 2 ἐνεργός, 3
δυνατός
SOCRATE: Vi sono poi altre arti
che realizzano per intero il loro scopo mediante il discorso, e che di attività
pratica non hanno per così dire alcun bisogno, o un bisogno del tutto
marginale, come ad esempio l'aritmetica, la scienza del calcolo, la geometria,
la scienza del gioco della scacchiera e molte altre arti, alcune delle quali
hanno la parte teorica pressoché equivalente a quella pratica, mentre la
maggior parte di esse prevede più discorsi che attività pratica, e la loro azione
e la loro efficacia si realizza interamente per mezzo di discorsi. Mi
pare che tu stia dicendo che la retorica è una di queste. (Platone, Gorgia)
TIMEO: Con quanta gioia, o
Socrate, come se riposassi dopo un lungo cammino, mi libero ora volentieri del
corso del ragionamento. Quel dio, nato un tempo nella realtà e ora nato da poco
a parole, io prego che ci garantisca la conservazione, tra tutto ciò che è
stato detto, di quelle cose che sono state dette con misura, e se, senza
avvedercene, dicemmo qualcosa di stonato su di loro, di infliggere la giusta
pena. Ma giusta punizione è rendere intonato colui che stona; affinché dunque
in futuro facciamo discorsi corretti sull'origine degli dèi, preghiamo di
fornirci la conoscenza, potentissimo ed efficacissimo tra i rimedi. Dopo
aver così pregato, lasciamo, conformemente a quanto convenuto, il seguito del
ragionamento a Crizia. (Platone, Timeo)
SOCRATE Prova, allora, a metterla
così. Poniamo che mentre siamo lì lì per fuggire di qui (o comunque vogliamo
chiamare questa cosa) venissero le leggi e la città tutta, si piazzassero
davanti a noi e ci chiedessero: “Dimmi, Socrate, che cosa hai in mente di fare?
Quale può essere il tuo intento, con questo gesto, se non di fare quanto ti è
possibile per distruggere noi, le leggi, e la città intera?... O pensi che
possa sopravvivere, e non essere sovvertita, una città in cui le sentenze
pronunciate non hanno efficacia, e possono essere invalidate e annullate
da privati cittadini?”. Cosa rispondere, o Critone, a queste o simili domande?
Certo, ci sarebbe molto da dire (più di tutti ci riuscirebbe un retore) in
difesa della legge che violerei, che impone che le sentenze pronunciate abbiano
vigore. Preferiremo forse dare loro una risposta del tipo “la città ci ha fatto
un’ingiustizia, emettendo una sentenza scorretta”? Diremo questo, o che altro? (Platone,
Critone)
«Supponi dunque», continuai, «che
anche noi, per quanto ci era possibile, facessimo un lavoro del genere quando sceglievamo
i soldati e li educavamo nella musica e nella ginnastica; pensa che il nostro
unico scopo era di persuaderli ad accogliere in sé nel miglior modo possibile
le leggi come una tintura, affinché la loro opinione sulle cose temibili e
sulle altre diventasse indelebile grazie alla natura e all'educazione adeguata
che avevano ricevuto, e la loro tintura non fosse slavata da questi detersivi
tanto efficaci a cancellare: il piacere, che nel produrre tale effetto è
più potente di qualsiasi calestrea o lisciva, il dolore, la paura, il
desiderio, più forti di qualsiasi altro sapone. Questa facoltà di salvaguardare
pienamente l'opinione corretta e legittima su ciò che temibile e ciò che non lo
è, io la chiamo e la considero coraggio, se tu non hai nulla da obiettare».
(Platone, Repubblica)
«Allora tu», continuai, «che sei
il loro legislatore, sceglierai le donne così come hai scelto gli uomini, in
modo da unire persone il più possibile simili per natura; ed essi, avendo case
e pasti in comune, dal momento che nessuno possiede niente del genere a titolo
personale, vivranno assieme e frequentandosi nei ginnasi e nelle restanti
attività educative saranno indotti da una necessità innata ad accoppiarsi. Non
ti sembra che stia enunciando una conseguenza necessaria?» «Sì », rispose, «una
conseguenza dettata da necessità non geometriche, ma erotiche, che
probabilmente ha più efficacia dell'altra nel persuadere e sedurre il volgo!». (Platone,
Repubblica)
«Ma il discorso attuale»,
insistetti, «rivela che questa facoltà insita nell'anima di ciascuno e l'organo
che permette di apprendere devono essere distolti dal divenire assieme a tutta
l'anima, così come l'occhio non può volgersi dalla tenebra alla luce se non
assieme all'intero corpo, finché non risultino capaci di reggere alla
contemplazione dell'essere e della sua parte più splendente; questo, secondo
noi, è il bene. O no?» «Sì ».«Può quindi esistere», proseguii, «un'arte della
conversione, che insegni il modo più facile ed efficace di girare quell'organo.
Non si tratta di infondervi la vista, bensì , presupponendo che l'abbia, ma che
non sia rivolto nella giusta direzione e non guardi là dove dovrebbe, di
adoperarsi per orientarlo da questa parte».
(Platone, Repubblica)
«Qual è?» «Poiché la città»,
risposi, «è stata divisa in tre parti alle quali corrisponde una tripartizione
anche nell'anima di ogni individuo, a mio parere si potrà accettare anche
un'altra dimostrazione». «Quale?» «Questa. Se le parti sono tre, mi pare che
siano tre anche i piaceri, ognuno proprio di ciascuna parte; lo stesso vale per
i desideri e le cariche». «Che cosa vuoi dire?», domandò. «La prima parte, lo
ripetiamo, era quella con cui l'uomo apprende, la seconda quella per cui prova
gli impulsi; quanto alla terza, a causa della sua molteplicità non abbiamo
saputo definirla con un nome appropriato, ma l'abbiamo denominata in base al
suo carattere più importante ed efficace: l'abbiamo chiamata
concupiscibile, per l'intensità dei desideri relativi ai cibi, alle bevande, ai
piaceri amorosi e a tutti gli altri che si accompagnano a questi, e avida di
ricchezze, perché questi desideri vengono soddisfatti soprattutto grazie al
denaro». (Platone, Repubblica)
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