mercoledì 22 aprile 2020

Ingegnerie della divinazione (5)


L’illusione del determinismo

Quando, dopo le rivoluzioni della scienza e dell’industria, la scienza si impadronisce dello strumento lagrangiano delle Fonctions Analytiques[1], gli scienziati, che ancora si chiamano philosophes, hanno la certezza di poter descrivere con le funzioni matematiche l’universo dei fenomeni. Uno strumento matematico capace di gestire i fenomeni dinamici, variabili nel tempo, ponendo in relazione gli effetti con le cause che li hanno prodotti, dimostra almeno sulla carta le sue enormi potenzialità. L’artiglieria, una disciplina che all’Arsenale di Torino ha accolto tra i suoi docenti il matematico Lagrange, fa proprio questo nuovo strumento teorico, che riesce a rinnovare la balistica. Quasi vent’anni dopo l’opera di Lagrange, Pierre Simon de Laplace pubblicherà il suo saggio Essai Philosophique sur les Probabilités (1814) dove si può leggere:

Possiamo considerare lo stato attuale dell'universo come l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che ad un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi.

Così l’ottimismo di una scienza positiva sempre più potente, sbaraglia ogni dubbio di inadeguatezza legato al passato e fa sognare in un futuro radioso.
Prima della rivoluzione scientifica il criterio di similitudine fondato epistemologicamente sui teoremi di Euclide ammetteva la conoscenza del mondo in una dimensione lineare e riproducibile. I canoni della perfezione dell'uomo vitruviano, alla base delle stesse regole costruttive dell’architettura (non solo edile, ma dell’intero universo) erano stati minati dallo stesso Galilei con le sue considerazioni sulla non-linearità della natura, e avevano trovato nella metafora dell’osso del gigante[2] la loro forma più immediata di una comunicazione destinata anche ai non scienziati.
D’ora in poi, anche se ancora priva delle macchine da calcolo, la scienza procederà per modelli: strutture logiche fondate sugli algoritmi, supportate dalla semantica dei segni e organizzate in gerarchie tassonomiche.
Ma l’ approccio quantitativo definitivo arriverà molto più tardi solo quando la rivoluzione elettronica renderà risolvibili numericamente problemi sino ad allora insoluti e farà nascere la moderna teoria dei sistemi[3] e dei modelli[4] . E di questi nel 1965 Marvin Minsky formulerà una definizione ormai divenuta classica[5]:
A è modello di una realtà B per un osservatore C quando C ponendo domande ad A riesce ad avere risposte relative a B.

[1] Luigi Lagrange, Theorie des Fonctions Analytiques contenant les principles du calcul differentiel, Paris : de l’Imprimerie de la République, an V (1797).
[2] Galileo Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mecanica & i movimenti locali, Leida : Appresso gli Elzeviri, 1638, Giornata seconda.
[3] Ludwig von Bertalanffy, General System Theory. Development, Applications, New York : George Braziller, 1968, trad. it. Teoria Generale dei Sistemi, Milano : ISEDI, 1971.
[4] Vittorio Marchis, Modelli, Torino : SEI, 1988.
[5] Marvin Minsky, Matter, mind and models, Proc. of IFIP Congress 1965, vol.1, Spartan Books, pp. 45-49.

Nessun commento:

Posta un commento