L’illusione del determinismo
Quando, dopo le
rivoluzioni della scienza e dell’industria, la scienza si impadronisce dello
strumento lagrangiano delle Fonctions
Analytiques[1],
gli scienziati, che ancora si chiamano philosophes,
hanno la certezza di poter descrivere con le funzioni matematiche l’universo
dei fenomeni. Uno strumento matematico capace di gestire i fenomeni dinamici,
variabili nel tempo, ponendo in relazione gli effetti con le cause che li hanno
prodotti, dimostra almeno sulla carta le sue enormi potenzialità. L’artiglieria,
una disciplina che all’Arsenale di Torino ha accolto tra i suoi docenti il
matematico Lagrange, fa proprio questo nuovo strumento teorico, che riesce a
rinnovare la balistica. Quasi vent’anni dopo l’opera di Lagrange, Pierre Simon
de Laplace pubblicherà il suo saggio Essai
Philosophique sur les Probabilités (1814) dove si può leggere:
Possiamo considerare lo stato attuale dell'universo come
l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che ad un
determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la
natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta,
se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi
dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti dei corpi
più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale
intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente
davanti ai suoi occhi.
Così l’ottimismo
di una scienza positiva sempre più potente, sbaraglia ogni dubbio di
inadeguatezza legato al passato e fa sognare in un futuro radioso.
Prima della
rivoluzione scientifica il criterio di similitudine fondato epistemologicamente
sui teoremi di Euclide ammetteva la conoscenza del mondo in una dimensione
lineare e riproducibile. I canoni della perfezione dell'uomo vitruviano, alla
base delle stesse regole costruttive dell’architettura (non solo edile, ma
dell’intero universo) erano stati minati dallo stesso Galilei con le sue considerazioni
sulla non-linearità della natura, e avevano trovato nella metafora dell’osso
del gigante[2]
la loro forma più immediata di una comunicazione destinata anche ai non
scienziati.
D’ora in poi,
anche se ancora priva delle macchine da calcolo, la scienza procederà per
modelli: strutture logiche fondate sugli algoritmi, supportate dalla semantica
dei segni e organizzate in gerarchie tassonomiche.
Ma l’ approccio
quantitativo definitivo arriverà molto più tardi solo quando la rivoluzione
elettronica renderà risolvibili numericamente problemi sino ad allora insoluti
e farà nascere la moderna teoria dei sistemi[3] e dei modelli[4]
. E di questi nel 1965 Marvin Minsky formulerà una definizione ormai divenuta
classica[5]:
A è modello di una realtà B per un
osservatore C quando C ponendo domande ad A riesce ad avere risposte relative a
B.
[1] Luigi Lagrange, Theorie des
Fonctions Analytiques contenant les principles du calcul differentiel,
Paris : de l’Imprimerie de la République, an V (1797).
[2] Galileo Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno
a due nuove scienze attenenti alla mecanica & i movimenti locali, Leida
: Appresso gli Elzeviri, 1638, Giornata seconda.
[3] Ludwig von Bertalanffy, General
System Theory. Development, Applications, New York : George Braziller,
1968, trad. it. Teoria Generale dei
Sistemi,
Milano : ISEDI, 1971.
[4] Vittorio Marchis, Modelli, Torino : SEI, 1988.
[5] Marvin Minsky, Matter, mind and
models, Proc. of IFIP Congress 1965, vol.1, Spartan Books, pp. 45-49.
Nessun commento:
Posta un commento