Il fegato bronzeo
etrusco rinvenuto da un contadino durante l'aratura il 26 settembre 1877 a
Settima, frazione di Gossolengo nei pressi di Piacenza rappresenta una mappa
del templum celeste, suddiviso in
sedici costellazioni marginali e in ventiquattro regioni interne dedicate ad
altrettante divinità. Veniva usato dagli aruspici che dall’esame del fegato
ovino delle vittime sacrificali ne traevano auspici per il futuro.
Nella Antica Roma
ingegneria e divinazione erano strettamente legate nella figura degli aruspici
il cui pontifex maximus era anche il
direttore dei lavori pubblici dell’urbe, colui che sovrintendeva alla
costruzione dei ponti e le cui origini si facevano risalire alla erezione del Pons sublicius.. Donde il nome. Infatti
le arcate dei ponti erano proprio tra le più importanti innovazioni costruttive
del popolo latino. Questo strano connubio tra arte divinatoria e ingegneria,
strano non è, perché sussiste, magari in maniera occulta, anche nel
contemporaneo dove ogni opera di ingegneria è un progetto (dal latino pro-jicere, gettare avanti, lanciare i
dadi) ossia una scommessa con il futuro. Era già noto agli Assiri come lo
testimoniano gli studi di Mircea Eliade[1]
e oltre.
La divinazione aruspicina. Schema
del fegato bronzeo di Piacenza (I-II secolo a.C.)
Scriveva nel 44
a.C. Marco Tullio Cicerone il suo De
divinatione, un’opera filosofica destinata a smascherare l’arte
divinatoria. [2]
LIBRO PRIMO. I - 1 È un'opinione antica, risalente ai tempi
leggendari e corroborata dal consenso del popolo romano e di tutte le genti,
che vi siano uomini dotati di una sorta di divinazione - chiamata dai greci mantiké -, cioè capaci di presentire il
futuro e di acquisirne la conoscenza. Capacità magnifica e salutare, se davvero
esiste, grazie alla quale la natura di noi mortali si avvicinerebbe il più
possibile alla potenza degli dei! E come in altri casi noi romani ci esprimiamo
molto meglio dei greci, così anche a questa straordinaria dote i nostri
antenati dettero un nome tratto dalle divinità, mentre i greci, come spiega
Platone, derivarono il nome corrispondente dalla follia.
E Cicerone, prima
ancora di arrivare alle conclusioni, lasciava alle divinazioni una porta aperta
che ancora per lunghi secoli rimarrà tale consacrando alla scienza degli astri
un ruolo fondamentale nella cultura medievale e rinascimentale, dall’oriente
all’occidente.
Deridiamo pure gli arùspici, chiamiamoli ciurmadori e
sciocchi, spregiamo la loro dottrina che pur fu dimostrata vera da un uomo di
somma sapienza e da ciò che in effetti gli accadde. Condanniamo anche i
Babilonesi e coloro che, osservando gli astri dall'alto del Caucaso, coi loro
calcoli indagano i movimenti delle stelle. Condanniamoli, dico, per stoltezza o
leggerezza o malafede, essi che, per loro stessa dichiarazione, conservano le
registrazioni scritte riguardanti 470.000 anni, e sentenziamo che mentiscono e
non temono il giudizio che su di loro pronunceranno i secoli futuri. (37) Ma,
si dirà, i barbari sono infidi e mentitori. È intessuta di menzogna anche la storia
dei greci? Chi non sa - parlo della divinazione naturale - i responsi dati da
Apollo delfico a Creso, e poi ancora agli ateniesi, agli spartani, ai tegeati,
agli argivi, ai corinzi? Crisippo raccolse innumerevoli oracoli, ciascuno con
copiose testimonianze e documenti. Poiché li conosci, non sto a enumerarli.
Questa cosa sola voglio asserire: l'oracolo di Delfi non sarebbe mai stato così
frequentato e così famoso, né arricchito di così splendidi doni di tutti i
popoli e i re, se in ogni tempo non si fosse sperimentata la veridicità dei
suoi responsi. (LIBRO PRIMO – XIX)
Solo al termine
della sua allocuzione il filosofo e giurista romano giungeva alle sue
conclusioni, da cui possiamo ancora oggi trarre l’insegnamento centrale
LIBRO SECONDO. […] - 149 Perciò, come bisogna addirittura
adoprarsi per diffondere la religione che è connessa con la conoscenza della
natura, così bisogna svellere tutte le radici della superstizione. Essa incalza
e preme e, dovunque tu ti volga, ti perseguita, sia che tu abbia dato ascolto a
un indovino, sia a un detto casuale, sia che abbia compiuto un sacrificio o
abbia veduto un uccello, o abbia appena scòrto un caldeo, un arùspice, o abbia
visto lampi o udito tuoni, o un luogo sia stato colpito dal fulmine, o sia nato
o si sia prodotto qualcosa di simile a un prodigio. Qualcuno di questi eventi è
inevitabile che spesso accada, cosicché non è mai possibile sostare con animo
pacato.
La storia
dell’umanità si svolge, secondo quanto afferma Michel Foucault nel suo libro Les mots et les choses (1963), da una episteme
antica dominata dai criteri di “somiglianza” e “similitudine” alla episteme della
scienza nuova caratterizzata dal
principio della “rappresentazione”, dove la misura e l’ordine sono alla base di
quella rivoluzione scientifica che Aleandre Koyré definirà nella transizione
“dal mondo del pressappoco all’universo della precisione”. L’astrologia, ma anche
l’architettura e la meccanica, nel mondo antico procedono realizzando a partire
dalla osservazione della natura uno schema da replicare, semmai in scala, e da
interpretare alla base di correlazioni fondate sulla memoria del passato. Così
nascono i canoni geometrici del costruire, come quelli della bellezza, così
nascono le corrispondenze tra le vicende umane e le congiunzioni astrali alla
base degli oroscopi, che filosofi e scienziati continueranno a redigere sino e
oltre l’età moderna.[3]
Né gli oroscopi mancheranno neppure nella cultura “matematica” dei grandi arabi
traghettatori del sapere classico nell’occidente.
Complesso e lungo
sarebbe il racconto intorno agli scrutatori del futuro, dai profeti agli
astrologi, e a ciò si rimanda in generale alla Storia dell’avvenire di Georges Minois e per l’Italia moderna agli
studi di Elide Casali.[4]
[1] Mircea Eliade, Arti del metallo e alchimia, Torino:
Bollati Boringhieri, 1980 (1956); Cosmologia
e alchimia babilonese, Firenze: Sansoni, 1993.
[2] Marco Tullio Cicerone, Della Divinazione a cura di Patrizio
Sanasi (www.bibliomania.it).
[3] Famosi sono gli oroscopi
che lo stesso Galileo Galilei preparò per se stesso, per le figlie, per l’amico
Giovanfrancesco Sagredo, e per il granduca di Toscana Ferdinando I.
[4] In assenza di dirette
citazioni si rimanda alla bibliografia completa riportata al termine di questo
saggio.
Nessun commento:
Posta un commento