mercoledì 22 aprile 2020

Ingegnerie della divinazione (11)


Di fronte a un futuro ignoto

Alcune considerazioni trasversali, intorno ai nostri protagonisti possono collaborare a un più corretto inquadramento dei temi che in questa sede si sono aperti, anche se spesso solo fugacemente. Scriveva Norberto Bobbio a proposito di Pareto che:

nel Trattato compare e campeggia la terza dicotomia fondamentale del pensiero paretiano, quello fra residui e derivazioni. Anzi il Trattato può essere considerato come un luogo, non sempre rettilineo, complesso (nonché complicato) discorso intorno a presupposti teorici, alle fonti materiali, alla costruzione concettuale, alla possibile utilizzazione per una teoria del sistema sociale, di questa grande dicotomia. Dopo un capitolo preliminare sul metodo scientifico, l’opera prende le mosse dalla prima dicotomia, cioè dalla distinzione fra azioni logiche e non logiche (cui sono dedicati il secondo e il terzo capitolo). Poiché il miglior modo per giungere alla enucleazione e descrizione delle azioni non logiche è quello di partire dalle loro manifestazioni verbali, che sono teorie non logico sperimentali (cui si riferisce la seconda dicotomia), l’opera procede con una analisi di un abbondante materiale di teorie di tal sorta, che vengono distinti in teorie che trascendono dall’esperienza (capitolo quarto) e in teorie pseudoscientifiche (capitolo quinto), secondo ché l’intervento di principi non sperimentali sia esplicito o soltanto implicito, e quindi, più o meno dissimulato. La conclusione di quest’analisi è che le teorie non logico-sperimentali sono composte da due parti: una parte più variabile, che consiste in un complesso di argomentazioni quasi logiche con cui gli uomini tendono a dare una giustificazione razionale, a razionalizzare post factum, i propri istinti o sentimenti; una parte più costante, attraverso cui vengono espressi questi istinti o sentimenti. Alla prima Pareto dà il nome di derivazioni; alla seconda di residui, in quanto sono ciò che residua di ogni teoria dopo averla sfrondata degli argomenti di giustificazione, o, per seguire una delle metafore preferite di Pareto, dopo averle scrostate di vernice logica.[1]

 Per contro, con un salto indietro nel tempo, e inseguendo i rapporti che intercorsero tra i nostri, scriveva Vilfredo Pareto a Filippo Burzio

Céligny, lì 22-1-22
Preg. sig. ing. La ringrazio per avermi mandato il suo articolo della Ronda – che già avevo letto – e il suo articolo della Stampa che ancora non conoscevo. Giusta e fondamentale è la sua osservazione per la differenza tra il riconoscere l’esistente e il proporre il fare. Per unirli occorre che la scienza sia giunta ad uno stato di perfezione che siamo lungi di avere. Eppure il fare, anche se è errato può essere utile. Supponga che siamo sperduti in un bosco. Uno di noi studi e ponza per conoscere la topografia, ed è ancora lontano dallo scopo. Altri vanno qua e là, cercando l’uscita. Chi si dice ispirato da Zeus, chi da Cristo, chi crea la realtà, chi è mosso dalla fede democratica, ecc. Tutte assurdità sperimentali, ma che importa? Se alcuno di loro si avvicina all’uscita, ancora ignorata dalla topografia? Ciò che è utile può non essere vero; ciò che è vero può non essere utile. Tale è uno dei principi che paiomi fondamentali nello studio delle scienze sociali. Per parte mia mi limito al conoscere, lasciando ad altri più valenti, e spesso anche più utili, il fare. Mi creda. Dev. Vilfredo Pareto.[2]

Se c’è qualche speranza di prevedere il futuro – ne sarebbero felici gli speculatori e gli operatori della borsa – forse una speranza ci arriva dalla fantascienza, che, a differenza degli scienziati duri e puri, ha saputo meglio guardare al di là del presente. Il futuro invero da sempre è stato oggetto di proiezioni più o meno fantastiche e la letteratura prima, il cinema e la televisione dopo, ne sono stati i veicoli di maggiore impatto sociale. Dimenticando la fantascienza di Antoine Robida e di Jules Verne e arrivando a tempi più vicini a noi, forse la sitcom animata The Jetsons (I pronipoti) della Hanna-Barbera, esordita negli Stati Uniti nel 1962 ambientata in una futura era spaziale è nota ai più e ha aperto la strada a un filone popolare, che quarant’anni dopo ha visto nascere Futurama la sitcom animata statunitense, creata da Matt Groening nel 1999 fino al 2003 per la Fox. Tra i moltissimi soltanto un libro di fantascienza: Stanislaw Lem, l’autore di Solaris, scienziato e scrittore polacco, nel 1971 pubblicò un romanzo intitolato Il congresso di futurologia[3], ambientato nel 2039. Il pilota Ijon Tichy partecipa all'Ottavo Congresso di Futurologia che si svolge in Costa Rica. La popolazione vive in preda alle droghe, non esistono più turisti, né mercanti, né artigiani. Esistono solo congressi. La gente non produce, non consuma: parla e basta. Qui, sembra, che stia nascendo una nuova scienza.

È stato ibernato? Anch'io. E poi disibernato? Io pure. Sono anche stato ringiovanito, con il rijuvenal e la deseilisina; per lei questo non è stato necessario ma io, se non fosse per una solida curatazione alla quale sono stato sottoposto, non sarei più un futurosofista". "Vuol dire futurologo?" "Questo termine ora significa qualcosa di diverso, il futurologo fa i profuti (previsioni), io invece mi occupo della teoria. È una cosa completamente nuova, sconosciuta ai miei e ai suoi tempi. La si può definire previsione perlinguistica del futuro. È la scienza della pronosticazione linguistica". "Non ne ho mai sentito parlare. Che cos'è?" […] "La futurologia perlinguistica indaga il futuro dal punto di vista delle possibilità di evoluzione della lingua" spiegò Trottelreiner. "Non capisco". "L'uomo è in grado di appropriarsi soltanto di ciò che può comprendere, e può comprendere unicamente ciò che è esprimibile a parole. L'inesprimibile è incomprensibile. Studiando le tappe successive dell'evoluzione della lingua, giungiamo a stabilire quali scoperte, trasformazioni e rivoluzioni del costume la lingua potrà, in un qualsiasi momento, rispecchiare". "Molto strano. E come funziona, in pratica?" "Conduciamo le ricerche coadiuvati dai migliori computer, perché l'uomo da solo non è in grado di verificare tutte le varianti. Si tratta principalmente della variabilità sintagmatico-paradigmatica della lingua, ma quantizzata". (Stanislaw Lem, Il congresso di futurologia, pp. 116-117)

Douglas Noel Adams (1952-2001), il famoso autore della Guida Galattica per Autostoppisti, nel suo ultimo scritto, uscito postumo e intitolato Il Salmone del Dubbio, compare un breve saggio intitolato Predicting the Future. Così si può leggere in un articolo che perde ogni valenza fantastica e assume toni assolutamente realistici.

Cercare di prevedere il futuro è fatica sprecata. Ma è una fatica cui tutti dobbiamo sottoporci, in quanto oggi il mondo cambia così in fretta che il futuro può essere già la settimana prossima e conviene avere un’idea di come sarà. Curiosamente, l’industria informatica, che rappresenta il motore primario del vertiginoso ritmo di cambiamento, si è rivelata quasi incapace di prevedere il futuro. […] Prevedere il futuro è una fatica sprecata, ma qualsiasi fatica riesce meno pesante se si ottiene qualche piccolo successo. “The Independent on Sunday” november 1999.

L’utopia è da sempre legata doppiamente al futuro e da esso ne dipende l’essenza, perché se l’utopia diventasse una profezia , a posteriori perderebbe ogni valore. Ma ciò nonostante il “futuro” continua ad affascinare scrittori e filosofi, tecnici e sociologi. Marc Augé nel suo libro Future, scrive:

First of all, I would recall that the question of knowledge is essential to the definition of our future, meaning the future of the planet and of humanity.
It is essential for various sets of reasons. We could start by thinking that knowledge of the effects that the development of human societies are having on the planet they inhabit is crucial for their future. But what I would like to examine here is another aspect of things, even though of course it is linked to that one. In this area, everything is connected.
Let us start from two observations. The first is that science is developing at increasing speed and our imagination is powerless to keep up. We are unable today to give an accurate prediction of the state of science fifty or even thirty years hence. By the state of science, I mean both our level of knowledge and its practical side effects on human life. We are faced with an immense zone of uncertainty, about which specialists can produce any number of hypotheses and projections without being able to state anything for sure, apart from the certainty that they will one day be surprised by what turns up.
The accelerating advance of science since the beginning of the twentieth century leaves us today facing revolutionary prospects. New worlds are being opened up: on one hand the universe and its myriad galaxies (and the vertiginous change of scale that goes with them, which will eventually alter the idea we have of the planet and of humanity); on the other, the frontier between matter and life, the inner secrets of living beings, the nature of consciousness (new ideas which will lead to a redefinition of the idea individuals have of themselves).
Today we need more than ever to speak of the future in the plural, and the ethnologist who has always distrusted the definite article, especially in the singular (the savage, the primitive society), will be the first to rejoice. Neither multicultural society nor social media (heirs of the late global village), nor the consumer or service society are the last word of history, for that final word does not exist. So the ethnologist can be consoled for not being a prophet.

Molte sono le spinte in avanti verso un mondo senza futuro, o meglio, un mondo in cui vi sia la possibilità di precedere il futuro, ma qui la fantascienza entra in conflitto con una realtà che si illude di sostituirsi a Dio. L’utopia di un’evoluzione verso l’Homo deus[4] si ritrova nell’ultimo saggio di Yuval Noah Harari dove, nonostante le grandi speranze, l’autore afferma:

Comunque, quando la tecnologia ci permetterà di reingegnerizzare le menti umane, Homo sapiens scomparirà, la storia umana arriverà a una conclusione e un tipo di processo completamente nuovo avrà inizio, un processo che le persone come voi e me non possono comprendere. Molti studiosi cercano di predire come potrà essere il mondo nell’anno 2100 o 2200. È uno spreco di tempo. Qualsiasi predizione significativa dovrebbe tener conto della capacità di reingegnerizzare le menti umane, e questo è impossibile. Esistono molte sagge risposte alla domanda: “Che cosa farebbero persone con menti come le nostre con le biotecnologie?” ma non abbiamo alcuna buona risposta per la domanda: “Che cosa farebbero esseri con un tipo differente di mente con le biotecnologie?” Tutto ciò che possiamo dire è che persone simili a noi con ogni probabilità useranno le biotecnologie per reingegnerizzare le loro stesse menti, e le nostre menti contemporanee non sono in grado di comprendere quali potrebbero essere le conseguenze.

Le prospettive di un futuro futuribile si ingarbugliano. Anche i giornali più quotati hanno una giusta reticenza a trattare la predizione del futuro. In un articolo di Enrico Marro apparso l’8 luglio 2017 su “Il Sole 24 Ore” faceva riferimento a un algoritmo capace di salvare 3mila persone dal suicidio.

Ci sono cose che non dico noi umani, ma nemmeno la fantasia di uno scrittore visionario come Philip Dick avrebbe mai potuto immaginare. Il famoso racconto del 1956 The Minority Report, scritto da Dick nel 1956 e diventato un film di Spielberg con Tom Cruise nel 2002, narrava di come nel 2054 fosse possibile cercare di prevedere il futuro grazie a tre “Precog”, mutanti collegati a macchine in grado di “previsualizzare” cosa accadrà. Tornate indietro dal 2054 a quest’anno, sostituite i tre “Precog” con l’analisi dei big data e Minority Report è servito: setacciando con l’intelligenza artificiale conversazioni social e colossali database è possibile predire il futuro con una ragionevole probabilità di prenderci.

Jessica Ribeiro e Joseph Franklin nello studio Predicting Risk of Suicide Attempts Over Time Through Machine Learning, su “Clinical Psychological Science” con un algoritmo di intelligenza artificiale ha analizzato i profili di 5167 soggetti a rischio autolesionismo giungendo a predizioni che dicono avere una affidabilità del 92 %. Ma questa sarà vera predizione del futuro?



[1] N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Sansoni, Firenze, 1973, pp. 19-20.
[2] Archivio della Fondazione Filippo Burzio
[3] Stanislaw LEM, Kongres futurologiczny, 1971 (trad it. Il congresso di futurologia, Milano, Marcos y Marcos, 2003)
[4] Yuval Noah Harari, Homo Deus. A Brief History of Tomorrow, London : Harvill Secker, 2016 (trad. it: Homo Deus, Firenze-Milano : Giunti Bompiani, 2017)

Nessun commento:

Posta un commento