Di fronte a un futuro ignoto
Alcune
considerazioni trasversali, intorno ai nostri protagonisti possono collaborare
a un più corretto inquadramento dei temi che in questa sede si sono aperti,
anche se spesso solo fugacemente. Scriveva Norberto Bobbio a proposito di
Pareto che:
nel Trattato
compare e campeggia la terza dicotomia fondamentale del pensiero paretiano,
quello fra residui e derivazioni. Anzi il Trattato
può essere considerato come un luogo, non sempre rettilineo, complesso (nonché
complicato) discorso intorno a presupposti teorici, alle fonti materiali, alla
costruzione concettuale, alla possibile utilizzazione per una teoria del
sistema sociale, di questa grande dicotomia. Dopo un capitolo preliminare sul
metodo scientifico, l’opera prende le mosse dalla prima dicotomia, cioè dalla
distinzione fra azioni logiche e non logiche (cui sono dedicati il secondo e il
terzo capitolo). Poiché il miglior modo per giungere alla enucleazione e
descrizione delle azioni non logiche è quello di partire dalle loro
manifestazioni verbali, che sono teorie non logico sperimentali (cui si
riferisce la seconda dicotomia), l’opera procede con una analisi di un
abbondante materiale di teorie di tal sorta, che vengono distinti in teorie che
trascendono dall’esperienza (capitolo quarto) e in teorie pseudoscientifiche
(capitolo quinto), secondo ché l’intervento di principi non sperimentali sia
esplicito o soltanto implicito, e quindi, più o meno dissimulato. La
conclusione di quest’analisi è che le teorie non logico-sperimentali sono
composte da due parti: una parte più variabile, che consiste in un complesso di
argomentazioni quasi logiche con cui gli uomini tendono a dare una
giustificazione razionale, a razionalizzare post factum, i propri istinti o
sentimenti; una parte più costante, attraverso cui vengono espressi questi
istinti o sentimenti. Alla prima Pareto dà il nome di derivazioni; alla seconda
di residui, in quanto sono ciò che residua di ogni teoria dopo averla sfrondata
degli argomenti di giustificazione, o, per seguire una delle metafore preferite
di Pareto, dopo averle scrostate di vernice logica.[1]
Per contro, con un salto indietro nel tempo, e
inseguendo i rapporti che intercorsero tra i nostri, scriveva Vilfredo Pareto a
Filippo Burzio
Céligny, lì 22-1-22
Preg. sig. ing. La ringrazio per avermi mandato il suo
articolo della Ronda – che già avevo letto – e il suo articolo della Stampa che
ancora non conoscevo. Giusta e fondamentale è la sua osservazione per la
differenza tra il riconoscere l’esistente e il proporre il fare. Per unirli
occorre che la scienza sia giunta ad uno stato di perfezione che siamo lungi di
avere. Eppure il fare, anche se è errato può essere utile. Supponga che siamo
sperduti in un bosco. Uno di noi studi e ponza per conoscere la topografia, ed
è ancora lontano dallo scopo. Altri vanno qua e là, cercando l’uscita. Chi si
dice ispirato da Zeus, chi da Cristo, chi crea la realtà, chi è mosso dalla
fede democratica, ecc. Tutte assurdità sperimentali, ma che importa? Se alcuno
di loro si avvicina all’uscita, ancora ignorata dalla topografia? Ciò che è
utile può non essere vero; ciò che è vero può non essere utile. Tale è uno dei
principi che paiomi fondamentali nello studio delle scienze sociali. Per parte
mia mi limito al conoscere, lasciando ad altri più valenti, e spesso anche più
utili, il fare. Mi creda. Dev. Vilfredo Pareto.[2]
Se c’è qualche
speranza di prevedere il futuro – ne sarebbero felici gli speculatori e gli
operatori della borsa – forse una speranza ci arriva dalla fantascienza, che, a
differenza degli scienziati duri e puri, ha saputo meglio guardare al di là del
presente. Il futuro invero da sempre è stato oggetto di proiezioni più o meno
fantastiche e la letteratura prima, il cinema e la televisione dopo, ne sono
stati i veicoli di maggiore impatto sociale. Dimenticando la fantascienza di
Antoine Robida e di Jules Verne e arrivando a tempi più vicini a noi, forse la
sitcom animata The Jetsons (I pronipoti) della Hanna-Barbera,
esordita negli Stati Uniti nel 1962 ambientata in una futura era spaziale è
nota ai più e ha aperto la strada a un filone popolare, che quarant’anni dopo
ha visto nascere Futurama la sitcom
animata statunitense, creata da Matt Groening nel 1999 fino al 2003 per la Fox.
Tra i moltissimi soltanto un libro di fantascienza: Stanislaw Lem, l’autore di Solaris, scienziato e scrittore polacco,
nel 1971 pubblicò un romanzo intitolato Il
congresso di futurologia[3],
ambientato nel 2039. Il pilota Ijon Tichy partecipa all'Ottavo Congresso di
Futurologia che si svolge in Costa Rica. La popolazione vive in preda alle
droghe, non esistono più turisti, né mercanti, né artigiani. Esistono solo
congressi. La gente non produce, non consuma: parla e basta. Qui, sembra, che
stia nascendo una nuova scienza.
È stato ibernato? Anch'io. E poi disibernato? Io pure. Sono
anche stato ringiovanito, con il rijuvenal e la deseilisina; per lei questo non
è stato necessario ma io, se non fosse per una solida curatazione alla quale
sono stato sottoposto, non sarei più un futurosofista". "Vuol dire
futurologo?" "Questo termine ora significa qualcosa di diverso, il
futurologo fa i profuti (previsioni), io invece mi occupo della teoria. È una
cosa completamente nuova, sconosciuta ai miei e ai suoi tempi. La si può
definire previsione perlinguistica del futuro. È la scienza della
pronosticazione linguistica". "Non ne ho mai sentito parlare. Che
cos'è?" […] "La futurologia perlinguistica indaga il futuro dal punto
di vista delle possibilità di evoluzione della lingua" spiegò Trottelreiner.
"Non capisco". "L'uomo è in grado di appropriarsi soltanto di
ciò che può comprendere, e può comprendere unicamente ciò che è esprimibile a
parole. L'inesprimibile è incomprensibile. Studiando le tappe successive
dell'evoluzione della lingua, giungiamo a stabilire quali scoperte,
trasformazioni e rivoluzioni del costume la lingua potrà, in un qualsiasi
momento, rispecchiare". "Molto strano. E come funziona, in
pratica?" "Conduciamo le ricerche coadiuvati dai migliori computer, perché
l'uomo da solo non è in grado di verificare tutte le varianti. Si tratta
principalmente della variabilità sintagmatico-paradigmatica della lingua, ma
quantizzata". (Stanislaw Lem, Il
congresso di futurologia, pp. 116-117)
Douglas Noel Adams
(1952-2001), il famoso autore della Guida
Galattica per Autostoppisti, nel suo ultimo scritto, uscito postumo e
intitolato Il Salmone del Dubbio,
compare un breve saggio intitolato Predicting
the Future. Così si può leggere in un articolo che perde ogni valenza
fantastica e assume toni assolutamente realistici.
Cercare di prevedere il futuro è fatica sprecata. Ma è una
fatica cui tutti dobbiamo sottoporci, in quanto oggi il mondo cambia così in
fretta che il futuro può essere già la settimana prossima e conviene avere
un’idea di come sarà. Curiosamente, l’industria informatica, che rappresenta il
motore primario del vertiginoso ritmo di cambiamento, si è rivelata quasi
incapace di prevedere il futuro. […] Prevedere il futuro è una fatica sprecata,
ma qualsiasi fatica riesce meno pesante se si ottiene qualche piccolo successo.
“The Independent on Sunday” november 1999.
L’utopia è da
sempre legata doppiamente al futuro e da esso ne dipende l’essenza, perché se
l’utopia diventasse una profezia , a posteriori perderebbe ogni valore. Ma ciò
nonostante il “futuro” continua ad affascinare scrittori e filosofi, tecnici e
sociologi. Marc Augé nel suo libro Future, scrive:
First of all, I would
recall that the question of knowledge is essential to the definition of our
future, meaning the future of the planet and of humanity.
It is essential for
various sets of reasons. We could start by thinking that knowledge of the
effects that the development of human societies are having on the planet they
inhabit is crucial for their future. But what I would like to examine here is
another aspect of things, even though of course it is linked to that one. In
this area, everything is connected.
Let us start from two
observations. The first is that science is developing at increasing speed and
our imagination is powerless to keep up. We are unable today to give an
accurate prediction of the state of science fifty or even thirty years hence.
By the state of science, I mean both our level of knowledge and its practical
side effects on human life. We are faced with an immense zone of uncertainty,
about which specialists can produce any number of hypotheses and projections
without being able to state anything for sure, apart from the certainty that
they will one day be surprised by what turns up.
The accelerating advance
of science since the beginning of the twentieth century leaves us today facing
revolutionary prospects. New worlds are being opened up: on one hand the
universe and its myriad galaxies (and the vertiginous change of scale that goes
with them, which will eventually alter the idea we have of the planet and of
humanity); on the other, the frontier between matter and life, the inner
secrets of living beings, the nature of consciousness (new ideas which will
lead to a redefinition of the idea individuals have of themselves).
Today we need more than
ever to speak of the future in the plural, and the ethnologist who has always
distrusted the definite article, especially in the singular (the savage, the primitive
society), will be the first to rejoice. Neither multicultural society nor
social media (heirs of the late global village), nor the consumer or service
society are the last word of history, for that final word does not exist. So
the ethnologist can be consoled for not being a prophet.
Molte sono le
spinte in avanti verso un mondo senza futuro, o meglio, un mondo in cui vi sia
la possibilità di precedere il futuro, ma qui la fantascienza entra in
conflitto con una realtà che si illude di sostituirsi a Dio. L’utopia di
un’evoluzione verso l’Homo deus[4]
si ritrova nell’ultimo saggio di Yuval Noah Harari dove, nonostante le grandi
speranze, l’autore afferma:
Comunque, quando la tecnologia ci permetterà di
reingegnerizzare le menti umane, Homo sapiens scomparirà, la storia umana
arriverà a una conclusione e un tipo di processo completamente nuovo avrà
inizio, un processo che le persone come voi e me non possono comprendere. Molti
studiosi cercano di predire come potrà essere il mondo nell’anno 2100 o 2200. È
uno spreco di tempo. Qualsiasi predizione significativa dovrebbe tener conto
della capacità di reingegnerizzare le menti umane, e questo è impossibile.
Esistono molte sagge risposte alla domanda: “Che cosa farebbero persone con
menti come le nostre con le biotecnologie?” ma non abbiamo alcuna buona
risposta per la domanda: “Che cosa farebbero esseri con un tipo differente di
mente con le biotecnologie?” Tutto ciò che possiamo dire è che persone simili a
noi con ogni probabilità useranno le biotecnologie per reingegnerizzare le loro
stesse menti, e le nostre menti contemporanee non sono in grado di comprendere
quali potrebbero essere le conseguenze.
Le prospettive di
un futuro futuribile si ingarbugliano. Anche i giornali più quotati hanno una
giusta reticenza a trattare la predizione del futuro. In un articolo di Enrico
Marro apparso l’8 luglio 2017 su “Il Sole 24 Ore” faceva riferimento a un
algoritmo capace di salvare 3mila persone dal suicidio.
Ci sono cose che non dico noi umani, ma nemmeno la fantasia
di uno scrittore visionario come Philip Dick avrebbe mai potuto immaginare. Il
famoso racconto del 1956 The Minority Report, scritto da Dick nel 1956 e
diventato un film di Spielberg con Tom Cruise nel 2002, narrava di come nel
2054 fosse possibile cercare di prevedere il futuro grazie a tre “Precog”,
mutanti collegati a macchine in grado di “previsualizzare” cosa accadrà.
Tornate indietro dal 2054 a quest’anno, sostituite i tre “Precog” con l’analisi
dei big data e Minority Report è servito: setacciando con l’intelligenza
artificiale conversazioni social e colossali database è possibile predire il
futuro con una ragionevole probabilità di prenderci.
Jessica Ribeiro e
Joseph Franklin nello studio Predicting
Risk of Suicide Attempts Over Time Through Machine Learning, su “Clinical
Psychological Science” con un algoritmo di intelligenza artificiale ha
analizzato i profili di 5167 soggetti a rischio autolesionismo giungendo a
predizioni che dicono avere una affidabilità del 92 %. Ma questa sarà vera
predizione del futuro?
[1] N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Sansoni,
Firenze, 1973, pp. 19-20.
[2] Archivio della
Fondazione Filippo Burzio
[3] Stanislaw LEM, Kongres futurologiczny, 1971 (trad it. Il congresso di futurologia, Milano,
Marcos y Marcos, 2003)
[4] Yuval Noah Harari, Homo Deus. A Brief History of Tomorrow, London : Harvill Secker, 2016 (trad. it: Homo Deus, Firenze-Milano : Giunti Bompiani, 2017)
Nessun commento:
Posta un commento